Si segnala il recente arresto della giurisprudenza di legittimità in ordine al rapporto intercorrente tra le fattispecie di estorsione ex art. 629 c.p. e truffa aggravata ex art. 640, cpv. c.p..
La pronuncia prende le mosse dalla vicenda di due imputati, uno dei quali condannato in primo e secondo grado[1] per avere minacciato la persona offesa, prospettandole l’esistenza di una registrazione telefonica, ove quest’ultima avrebbe confidato a un terzo la volontà di fare del male o addirittura eliminare la donna con cui aveva intrattenuto una relazione extraconiugale, proponendosi dietro compenso di fare da intermediario con il detentore di tale registrazione, al fine di impedirne la divulgazione.
Avverso la pronuncia di condanna per estorsione promuoveva ricorso per Cassazione l’imputato denunciando il vizio di motivazione e la violazione degli artt. 629 e 640 c.p.
Il ricorrente, infatti, evidenziava l’insussistenza dei presupposti per potersi parlare di minaccia, essendo caratterizzata la condotta dell’imputato dall’assenza di qualsivoglia metus o coercizione nei confronti della vittima, dovendosi ritenere integrata, al più, l’ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 640, ovvero l’avere commesso il fatto ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario. Denunziava, inoltre, il vizio di motivazione della sentenza d’appello laddove la Corte territoriale, confermando la qualificazione giuridica del fatto compiuta dal Tribunale di primo grado, aveva omesso di specificare le ragioni per cui le doglianze difensive erano state disattese.
All’esito dell’udienza pubblica dell’8 Maggio 2018, la Seconda Sezione ha, dunque, accolto il ricorso dell’imputato, pronunciando sentenza di annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, enucleando il seguente principio di diritto:
“Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima, dovendosi ritenere che si verte nell’ipotesi estorsiva, quando il male prospettato si presenta irresistibile e coarta la volontà della vittima; di contro, ricorre l’ipotesi della truffa, quando la minaccia del pericolo immaginario, per la sua intrinseca consistenza, non ha capacità coercitiva, ma si limita ad influire sul processo di formazione della volontà attraverso la prospettazione di dati di realtà inesistenti, che inducono in errore la vittima.”
[Giuseppe Viggiani]
CASSAZIONE PENALE – SECONDA SEZIONE
N. 27495 DEL 8.05.2018
PRESIDENTE: DOTT. PRESTIPINO ANTONIO
RELATORE: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da […omissis…] avverso la sentenza n. […omissis…]
Visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
Udita nella pubblica udienza dell’8.5.2018 la relazione fatta dal Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi;
Uditi l’avv. […omissis…], e l’avv. […omissis…], che hanno chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del […omissis…] la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa il […omissis…] dal Tribunale della stessa città, ha assolto […omissis…] dal reato a lui contestato per non aver commesso il fatto; riconosciute a […omissis…] le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e sulla recidiva contestate, ha rideterminato la pena inflitta a quest’ultimo, confermando nel resto la sentenza di condanna degli imputati per il delitto di estorsione aggravata.
Gli imputati sono stati condannati per avere minacciato la persona offesa •[…omissis…], prospettando l’esistenza.di una registrazione telefonica, ove quest’ultimo avrebbe espresso a […omissis…] la volontà di fare del male o addirittura eliminare […omissis…], donna con cui la persona offesa aveva avuto una relazione extraconiugale, e proponendosi di fare da intermediari con il detentore di tale registrazione, al fine di impedirne la divulgazione.
Avverso la sentenza d’appello i difensori degli imputati hanno proposto ricorsi per cassazione.
Il difensore di […omissis…] ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in merito al giudizio di responsabilità penale dell’imputato.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe ritenuto esistente il metus in capo alla persona offesa sulla base di due ipotesi, ossia la minaccia da parte degli imputati di divulgare la registrazione falsa e lo spessore criminale dei soggetti da cui proveniva la richiesta di denaro. La prima ipotesi, però, sarebbe fantasiosa, oltre che di difficile realizzazione, dovendosi riprodurre la voce della persona offesa; la seconda, non corrisponderebbe al vero, non essendo il Noce gravato da precedenti penali e non potendo la pericolosità dei soggetti coinvolti nella vicenda consentire da sola la trasmigrazione di un’ipotesi al più truffaldina, qual è quella in esame, in una estorsiva.
Il difensore di […omissis…] ha dedotto i seguenti motivi:
1) vizi di motivazione e violazione degli artt. 640 e 629 c.p., per non avere la Corte d’appello, nonostante l’unitarietà della condotta, riservato all’imputato lo stesso trattamento dell’altro coimputato […omissis…], che era stato assolto, essendosi ritenuto che le dazioni di denaro da parte della persona offesa fossero state volontarie. Secondo il ricorrente non potrebbe ritenersi integrata l’estorsione, non avendo egli e gli altri correi mai rivolto al […omissis…] minacce; circostanza che sarebbe comprovata dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa che aveva detto di avere dato i soldi al […omissis…] del tutto spontaneamente. Ove detta condotta fosse stata condizionata dalla possibilità che potesse essere messa in giro una registrazione compromettente per la persona offesa (in realtà mai esistita), al più si sarebbe dovuto qualificare il fatto come truffa in danno del […omissis…], indotto in errore sull’esistenza del documento compromettente;
2) vizi di motivazione in relazione alla determinazione della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il 19 aprile 2018 sono state depositate due memorie:
nell’interesse di […omissis…] sono stati dedotti violazione di legge e vizi di ‘motivazione in relazione alla sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite;
nell’interesse di […omissis…] sono stati dedotti violazione di legge e vizi di motivazione per il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante dell’art. 629 co 2 c.p., ritenuta sussistente erroneamente.
All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati.
1.1 Deve premettersi che questa Corte (cfr., Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708) ha affermato che, pur a seguito della nuova formulazione dell’art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen., dettata dalla L. 20 febbraio 2006 n. 46, al giudice di legittimità resta preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione, assegnatale dal legislatore, di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti, adottati dai giudici di merito, rispettino sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito per giungere alla decisione.
Si è precisato, inoltre, che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di un’autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento, svolto dal giudicante, e »determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificarle o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione.
1.2 Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, deve ritenersi che la motivazione della sentenza impugnata è inficiata da incompletezza e manifesta illogicità.
Come già detto, la Corte territoriale ha ritenuto che gli imputati avessero prospettato alla persona offesa […omissis…] l’esistenza di una registrazione telefonica, ove quest’ultimo avrebbe espresso a […omissis…] la volontà di fare del male o addirittura eliminare […omissis…], donna con cui la persona offesa aveva avuto una relazione extraconiugale, proponendosi di fare da intermediari con il detentore di tale registrazione, al fine di impedirne la divulgazione. Secondo la sentenza impugnata, “l’esistenza della registrazione compromettente, nella quale il […omissis…] chiedeva di fare del male alla ragazza, se non addirittura di eliminarla, sebbene egli fosse certo della sua inesistenza, era senza dubbio situazione in grado di procurare allo stesso un fortissimo stato di intimidazione, intanto perché ne poteva subire grave pregiudizio, anche qualora si fosse trattato di un documento falso e poi in ragione dello spessore criminale dei soggetti da cui proveniva la richiesta, essendo il Murena, così come il Pavone, gravato da precedenti molto gravi che li rendevano molto temibili agli occhi della fragile p.o..
Secondo la Corte distrettuale, quindi, la persona offesa si era venuta a trovare in “una condizione di palese pressione”, perché avrebbe potuto subire pregiudizio dalla divulgazione anche di una registrazione falsa e in ragione della caratura criminale degli imputati.
Siffatte argomentazioni non si palesano coerenti e complete.
Deve rilevarsi, in primo luogo, che la medesima Corte, pur dando atto della consapevolezza della persona offesa circa l’inesistenza della registrazione, evocata dagli imputati, non ha spiegato le ragioni per cui – a fronte di una minaccia che, secondo la stessa persona offesa, non sarebbe stata realizzabile – quest’ultima si fosse potuta sentire coartata.
In secondo luogo e per altro verso, la Corte distrettuale ha fatto riferimento al pregiudizio derivante da una registrazione falsa ma non ha indicato da quali elementi ha desunto che la medesima parte lesa si fosse rappresentata la possibilità dell’esistenza di un documento falso: circostanza, invero, che non traspare dal contenuto delle dichiarazioni di quest’ultima, per come trascritte nella stessa pronuncia in scrutinio.
Peraltro, la circostanza della registrazione falsa appare di difficile configurabilità, dovendosi riprodurre proprio la voce della persona offesa, con conseguente complessità di confezionamento già sul piano tecnico.
Del pari, la Corte distrettuale non ha indicato quali fossero i precedenti molto gravi del […omissis…] e del […omissis…], e, soprattutto, sulla base di quali elementi ha ritenuto che i menzionati precedenti fossero noti alla persona offesa e rendessero gli imputati “molto temibili agli occhi” della stessa.
Siffatte omesse indicazioni rappresentano lacune motivazionali, che riverberano effetti sulla stessa possibilità di ritenere configurato in capo alla persona offesa il metus, che connota la fattispecie delittuosa in esame.
1.3 Deve inoltre rilevarsi che la Corte di merito non ha dato compiuta risposta alle doglianze difensive relative alla derubricazione del reato contestato in quello di truffa.
Questa Corte (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735), in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado, ha affermato che, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relazione; quando invece le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure richiamando la censurata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sull’inadeguatezza od inconsistenza dei motivi di impugnazione.
Nel caso in esame, il giudice d’appello si è limitato a ritenere sussistente la fattispecie delittuosa dell’estorsione, senza motivare sulle specifiche doglianze difensive in ordine alla configurabilità, al più, della truffa: questione non esaminata espressamente nemmeno dal primo giudice e alla quale la Corte territoriale, in fase di rinvio, dovrà pure dare risposta.
Ciò alla luce dei principi stabili in sede di legittimità (Sez. 2, n. 46084 del 21/10/2015, Rv. 265362), secondo cui il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima, dovendosi ritenere che si verte nell’ipotesi estorsiva, quando il male prospettato si presenta irresistibile e coarta la volontà della vittima; di contro, ricorre l’ipotesi della truffa, quando la minaccia del pericolo immaginario, per la sua intrinseca consistenza, non ha capacità coercitiva, ma si limita ad influire sul processo di formazione della volontà attraverso la prospettazione di dati di realtà inesistenti, che inducono in errore la vittima.
La valutazione della capacità di concreta ed effettiva coazione della minaccia è un’indagine di merito che deve essere effettuata prendendo in esame le circostanze del caso concreto ovvero sia la violenza “oggettiva” della minaccia che la sua soggettiva efficacia sulla specifica vittima (Cass. sez. 6, n. 27996 del 28.5.14, Rv 261479).
1.4 In definitiva, deve ritenersi che la motivazione, posta a fondamento della sentenza impugnata, è affetta da vizi che ne impongono l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di […omissis…] per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di […omissis…].
Così deciso in Roma, udienza pubblica dell’8 maggio 2018
[1]L’altro era stato assolto all’esito del giudizio di primo grado.