Nel primo grado di giudizio, la Corte d’appello di Venezia rigettava la domanda di nullità della garanzia avanzata dal fideiussore, il quale adduceva che tre clausole del testo della garanzia (tra cui la clausola di rinuncia al termine ex art. 1957 cod. civ.) riproducevano uno schema negoziale vietato, in quanto frutto di un’intesa bancaria anticoncorrenziale vietata ai sensi dell’art. 2, lett. a), l. n. 287/1990.

Sebbene il fideiussore avesse dedotto l’identità della garanzia rispetto allo schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI, ed evidenziato altresì che l’applicazione uniforme di tale schema era stata vietata dalla Banca d’Italia con il provvedimento B423 n. 55/2005, la Corte d’appello riteneva che spettasse al fideiussore provare l’applicazione uniforme dello schema ABI.

Il fideiussore impugnava la decisione per cassazione, adducendo che alla luce del Provvedimento della Banca d’Italia, l’esistenza del cartello bancario in tema di fideiussioni doveva ritenersi accertata.

La Suprema Carta rigetta il ricorso, deducendo che il carattere uniforme dell’applicazione della clausola contestata è elemento costitutivo della pretesa attorea, essendo la sua necessità pacificamente prevista nel provvedimento della Banca d’Italia su cui l’attore fonda la propria pretesa. In quanto elemento costitutivo del diritto vantato, dunque, esso doveva essere provato dall’attore, secondo la regola generale di cui all’art. 2967 c.c.

Inoltre, secondo la Corte, il ricorrente non può utilmente invocare, a sostegno della propria tesi, l’orientamento di legittimità in materia di presunzione del danno per il consumatore a seguito dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale in sede amministrativa (cfr., ad es., Cass. 11904/2014, 7039/2012). Nel caso de quo, infatti, è appunto contestata la sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale avuto riguardo alla presenza di un suo elemento essenziale (il carattere uniforme di cui si è detto), che il provvedimento della Banca d’Italia, secondo la Suprema Corte, non avrebbe accertato, ma avrebbe indicato in termini soltanto ipotetici.

 

 

 

Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 08-03-2018) 28-11-2018, n. 30818

 

(Omissis)

C.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Trentini, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Loredana Piattoni in Roma, Via G. Dominici n. 6;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE ETICA SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI;

– intimata –

e sul ricorso proposto da:

BANCA POPOLARE ETICA SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI, in persona del Dott. A.S., responsabile del Servizio qualità del credito e contenzioso, rappresentata e difesa dall’Avv. Roberto Nevoni, dall’Avv. Giovanni Bisazza e dall’Avv. Marco Paolo Ferrari, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Dante De Blasi n. 5;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.D.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1261/14 depositata il 22 maggio 2014;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 marzo 2018 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA.

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Venezia ha respinto la domanda proposta dal sig. C.D. contro la Banca Popolare Etica s.c.p.a. per la dichiarazione di nullità di fideiussioni, prestate dall’attore in favore della convenuta a garanzia di crediti di quest’ultima verso terze persone, per contrasto con la L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 2, lett. a), sulla tutela della concorrenza e del mercato, in quanto le clausole di cui agli artt. 2, 6 ed 8 erano identiche allo schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI e perciò contrastante con il provvedimento della Banca d’Italia B423 del 2 maggio 2005, che ne vietava l’applicazione in modo uniforme.

La Corte, escluso che le fideiussioni in questione potessero essere qualificate invece come contratti autonomi di garanzia, ha evidenziato tuttavia come il richiamato provvedimento della Banca d’Italia avesse vietato l’uso uniforme – non già occasionale – di quello schema negoziale, presupposto la cui sussistenza nella specie era contestata dalla banca convenuta e non era stata provata dall’attore.

Il sig. C. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi.

La banca intimata si è difesa con controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato per tre motivi.

Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non ponendosi questioni rilevanti ai fini dell’esercizio della funzione nomofilattica di questa Corte.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c., si sostiene che incombesse sulla banca, per il principio di vicinanza della prova, l’onere di dimostrare il carattere non già occasionale, bensì uniforme, dell’applicazione della clausola in questione.

1.1. Il motivo è infondato.

Il carattere uniforme dell’applicazione della clausola contestata è certamente elemento costitutivo della pretesa attorea, essendo la sua necessità pacificamente prevista nel provvedimento della Banca d’Italia su cui l’attore fonda, in buona sostanza, la sua pretesa. In quanto elemento costitutivo del diritto vantato, dunque, esso doveva essere provato dall’attore, secondo la regola generale di cui all’art. 2967 c.c..

Nè il ricorrente può utilmente invocare, a sostegno della propria tesi, la giurisprudenza di questa Corte, giustificata anche con il criterio della vicinanza della prova, in materia di presunzione del danno per il consumatore a seguito dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale in sede amministrativa (cfr., ad es., Cass. 11904/2014, 7039/2012). Nel caso che ci occupa, infatti, è appunto contestata la sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale avuto riguardo alla presenza di un suo elemento essenziale (il carattere uniforme di cui si è detto), che il provvedimento della Banca d’Italia non ha accertato, ma ha indicato in termini soltanto ipotetici.

  1. Con il secondo motivo del ricorso principale, denunciando omesso esame di una fatto decisivo, si lamenta che la Corte d’appello, pur in presenza di un contratto stipulato mediante il classico modulo prestampato predisposto per i contratti di massa dell’imprenditore, abbia apoditticamente asserito che ciò non era sufficiente a dimostrare l’applicazione uniforme della clausola.

2.1. Il motivo è inammissibile perchè si sostanzia in una mera critica della valutazione della prova riservata al giudice di merito.

  1. Il ricorso principale va quindi respinto, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente e ricorrente incidentale, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13 comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018