Il Consiglio di Stato, sia pur in sede cautelare, s’è di recente espresso su una questione giuridica dagli innegabili risvolti sociali e politici, che sempre più ha infiammato, negli ultimi tempi, il dibattito nell’opinione pubblica.
A costituire oggetto di discussione, infatti, è la legittimità della modifica apportata al Regolamento comunale per i servizi delle prima infanzia del Comune di Trieste, che, a far data dal novembre 2016 (e per gli anni scolastici a venire) ha imposto che possano iscriversi alle scuole materne comunali solo quei bambini che siano in regola con gli obblighi vaccinali; ovvero, solo quei bambini i cui genitori abbiano scelto di ottemperare agli obblighi imposti da quattro differenti fonti normativi (per vero, piuttosto risalenti nel tempo) e attinenti il dovere di vaccinare i propri figli contro la difterite, il tetano, la poliomielite e l’epatite B.
Due differenti coppie di genitori triestini avevano impugnato innanzi al T.A.R. Friuli Venezia Giulia la deliberazione del Consiglio comunale con cui si imponeva, quale requisito per l’accesso ai servizi educativi per l’età prescolare, l’assolvimento dell’obbligo vaccinale.
A dire dei ricorrenti, una simile imposizione era da considerarsi illegittima, sia perché assunta in violazione del principio, stabilito dal d.P.R. n. 355 del 1999 per le scuole elementari e suscettibile d’applicazione estensiva, per cui la mancata vaccinazione non comporta il rifiuto di ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo; sia perché assunta in una materia (quella della salute individuale) in cui non vi sarebbe spazio per alcuna potestà regolamentare (dovendo la stessa essere regolata esclusivamente dalla legge statale); sia perché – e il punto di assoluta novità in ciò risiede – perché l’imposizione dell’obbligo vaccinale sarebbe dannoso per la salute dell’individuo.
Il sillogismo da cui partivano i ricorrenti (che, come si dirà, non ha convinto pienamente né il T.A.R., né il Consiglio di Stato), era il seguente: posto che le campagne di vaccinazione condotte massivamente in passato (e pure al giorno d’oggi) hanno sostanzialmente debellato i mali che essi si prefiggevano di combattere, la vaccinazione esporrebbe oggi i bimbi a rischi ben maggiori (e dipendenti dalle possibili reazioni allergiche dipendenti dalla somministrazione del vaccino) rispetto ai benefici che la profilassi potrebbe arrecare; di talché l’imposizione dell’obbligo vaccinale rischierebbe d’arrecare ai bambini molti più (potenziali) svantaggi che vantaggi e sarebbe perciò del tutto sproporzionato, oltreché potenzialmente dannoso per la salute del singolo individuo.
Il Consiglio di Stato (riprendendo, peraltro, le argomentazioni già impiegate dal Tribunale Amministrativo Regionale) non ha prestato adesione alle difese dei ricorrenti, affermando, da una parte, che l’imposizione dell’obbligo vaccinale è coerente con i “cambiamenti in atto” a livello epidemiologico, data la maggior facilità di contatto con persone che provengono da paesi in cui le malattie oggetto dell’obbligo di vaccinazione ancora sono presenti e data la ricomparsa di tali morbi anche nel mondo Occidentale; e, dall’altro, ritenendo che l’intera costruzione dei ricorrenti si fondasse su presupposti traballanti e contrari alla logica.
Curiosamente, tanto il Tribunale Amministrativo Regionale, quanto il Consiglio di Stato, hanno fondato il proprio convincimento richiamando principi filosofici e logici: se il Giudice giuliano aveva richiamato Kant e il “dover essere”, il Giudice di Palazzo Spada si è invece rifatto al celeberrimo rasoio di Occam, per evidenziare che la tesi dei ricorrenti (quella secondo cui, appunto, sarebbero maggiori i rischi che un individuo correrebbe vaccinandosi, piuttosto che quelli che invece incontrerebbe non facendolo) non meritava adesione.
Il Consiglio di Stato, in particolare, ha posto l’accento sull’inesistenza di prove certe a sostegno della teoria propugnata dai ricorrenti, non essendovi né prove a conferma né a confutazione del fatto che sarebbe più rischioso vaccinarsi che non farlo (in ragione della vaccinazione di tutti gli altri membri del contesto in cui vive l’individuo che non si vuole vaccinare).
Pur se espresso, come si diceva, in sede cautelare, l’arresto del Consiglio di Stato esterna, tra i primi, la posizione della Giurisprudenza sulla questione “vaccini”, spezzando una lancia a favore dell’obbligo vaccinale ed evidenziando la fallacia (a suo dire) delle tesi opposte.
Pubblicato il 21/04/2017
N. 01662/2017 REG.PROV.CAU.
N. 02459/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso in appello n. 2459 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Salvatore Di Mattia, Franco Ferletic, con domicilio eletto presso lo studio Salvatore Di Mattia in Roma, via Giuseppe Avezzana N.3;
contro
Comune di Trieste, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Maritza Filipuzzi, Maria Serena Giraldi, Aldo Fontanelli, con domicilio eletto presso lo studio Aldo Fontanelli in Roma, via Emilio de’ Cavalieri 11;
nei confronti di
Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, rappresentato e difeso dagli avvocati Guido Barzazi, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri 5;
per la riforma
della sentenza del Friuli Venezia Giulia, sede di Trieste, n. 20/2017, con cui è stato respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale di Trieste n 72 del 28 novembre 2016 recante modifiche al Regolamento comunale per i servizi della prima infanzia ed educativi comunali, avente ad oggetto l’introduzione dell’assolvimento dell’obbligo vaccinale quale requisito di accesso ai servizi educativi comunali per l’età da 0 a 6 anni;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’art. 98 cod. proc. amm.;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Trieste e di Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale di reiezione del ricorso di primo grado, presentata in via incidentale dalla parte appellante;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2017 il Cons. Francesco Bellomo e uditi per le parti gli avvocati Franco Ferletic, Aldo Fontanelli, Guido Barzazi ed Andrea Manzi;
Ritenuto che:
– al sommario esame proprio della fase cautelare l’articolata motivazione della sentenza appellata resiste alle censure formulate dagli appellanti, avendo la stessa evidenziato come la prescrizione di vaccinazioni obbligatorie per l’accesso ai servizi educativi comunali, oltre ad essere coerente con il sistema normativo generale in materia sanitaria e con le esigenze di profilassi imposte dai cambiamenti in atto (minore copertura vaccinale in Europa e aumento dell’esposizione al contatto con soggetti provenienti da Paesi in cui anche malattie debellate in Europa sono ancora presenti), non si ponga in conflitto con i principi di precauzione e proporzionalità;
– in particolare, con riguardo al principio di precauzione, su cui gli appellanti insistono (ritendo dimostrata la probabilità che la vaccinazione sia dannosa per la salute umana), esso opera nei casi in cui l’osservazione scientifica ha rilevato (o ipotizzato sulla base di analogie con altre leggi scientifiche) una successione costante di accadimenti e ne ha formulato una descrizione provvisoria, ma non si dispone di prove per confermare l’ipotesi o per escluderla. A tal punto operano due principi di logica formale: la fallacia ad ignorantiam ed il principio del terzo escluso. La prima regola impone di non considerare vera una tesi solo sulla base del fatto che non esistano prove contrarie. Il secondo, una volta riconosciuto che in un dato ambito si diano solo due alternative (tertium non datur), consente di ritenere vera la prima ove si dimostri la falsità della seconda. Ebbene, poiché tra due o più accadimenti o vi è una relazione di regolarità causale o non vi è, in difetto di evidenze sulla quale delle due sia esatta o, almeno, preferibile, entrambe le ipotesi debbono essere considerate contemporaneamente come vere. In altre parole, nel periodo di incertezza scientifica, non essendovi prove a conferma o confutazione, la successione causale deve essere considerata logicamente come non esclusa, ossia possibile. A questo punto, l’unica regola inferenziale accettabile è quella per cui se non avviene il primo evento non può avvenire il secondo come sua conseguenza. Tale regola, ove applicata al comportamento umano in riferimento ad un possibile esito dannoso, impone la precauzione.
Ma tale ragionamento non funziona quando può essere a parità di condizioni (principio del rasoio di Occam) ribaltato: nel caso in esame infatti esso condurrebbe allo stesso modo a ritenere che la vaccinazione sia suggerita dalla probabilità di contrarre malattie. Anzi, in questa prospettiva, la tutela della salute pubblica, in particolare della comunità in età prescolare, assume un valore dirimente, che prevale sulle prerogative sottese alla responsabilità genitoriale;
– pertanto la domanda cautelare va respinta e le spese della presente fase processuale possono essere compensate;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, respinge la domanda cautelare.
Spese compensate.
La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Francesco Bellomo, Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Franco Frattini
IL SEGRETARIO