In questi giorni di intensa e grave emergenza sanitaria, nonostante tutto il mondo sia coraggiosamente impegnato a contenere la diffusione endemica del COVID-19 e a far fronte alle connesse tragiche conseguenze, non dobbiamo dimenticare che il diritto, pur  confinato in secondo piano dalle contingenze, continua inevitabilmente a recepire e disciplinare il dato empirico.

In particolare e con riguardo all’ambito territoriale nazionale, il Governo italiano, mediante l’emanazione di plurimi e successivi decreti finalizzati al contenimento del contagio,  ha adottato diverse misure limitative delle libertà fondamentali delle persone (tanto fisiche tanto giuridiche), nella maggior parte dei casi arrivando ad impedire – temporaneamente o definitivamente – l’assolvimento degli impegni derivanti dai contratti in essere.

Potrà accadere, per esempio, che una società abbia acquistato una grossa partita di merci da un fornitore, il quale, tuttavia, potrebbe essere stato costretto, per effetto delle misure governative, a cessare temporaneamente la propria attività, non potendo quindi evadere la commessa.

Tanto premesso, è lecito chiedersi: il debitore inadempiente potrebbe essere eventualmente chiamato a rispondere di un simile inadempimento? E, qualora ciò non sia possibile, quali gli eventuali rimedi che il creditore di una prestazione divenuta impossibile potrà esperire al fine di tutelare la propria posizione contrattuale e non subire integralmente il danno che ne consegue?

Per rispondere ai quesiti testé formulati occorre dapprima individuare il criterio di imputazione dell’inadempimento delle obbligazioni, al fine di stabilire quando sorge la responsabilità del debitore nella particolare ipotesi in cui l’impossibilità della prestazione dipenda da un provvedimento dell’Autorità amministrativa (cd. factum principis).

Infine, sarà dato conto di quale sia il rimedio esperibile dal creditore che non abbia potuto ricevere – o non abbia più interesse a ricevere – la prestazione contrattuale.

  1. Il factum principis

In primo luogo è sempre bene prendere le mosse dalle disposizioni del Codice Civile, che definiscono il regime della responsabilità da inadempimento delle obbligazioni, individuate negli artt. 1218, 1256 e 1176 c.c.

Il combinato disposto delle prime due norme citate sancisce una presunzione di responsabilità a carico del soggetto debitore: qualora un’obbligazione rimanga inadempiuta per sopravvenuta impossibilità della stessa, infatti, colui che avrebbe dovuto provvedere al suo adempimento sarà tenuto a risarcire il connesso danno cagionato al creditore in tutti i casi in cui non riesca a dimostrare che tale impossibilità sia stata determinata da una causa non imputabile al creditore.

Tra le cause in grado di rendere impossibile la prestazione spiccano senz’altro, per quanto ivi d’interesse, tutti quegli atti della Pubblica Autorità che, perseguendo il pubblico interesse, impongano o vietino determinati comportamenti, sopprimendo determinate libertà individuali: il cd. factum principis.

Ma quando può davvero dirsi che l’emanazione di provvedimenti di legge o di atti amministrativi da parte delle autorità preposte integri una causa d’impossibilità della prestazione non imputabile al debitore?

La dottrina, in accordo con l’oramai consolidato orientamento tramandato dalla giurisprudenza di legittimità, ha utilizzato, quale criterio ermeneutico, la terza delle norme succitate, l’art. 1176 c.c., riconoscendone il carattere sostanziale ed enunciando il principio secondo cui il debitore diligente è un debitore non responsabile. Da tanto ne discende che, per andare esente da responsabilità, il soggetto inadempiente debba dimostrare che la causa che ha reso impossibile la prestazione non sia a lui soggettivamente rimproverabile. Affinché il factum principis possa essere considerato tale, è necessario che la normativa d’urgenza sia connotata dai tratti dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità per un debitore diligente al momento del sorgere dell’obbligazione, il quale non si sarebbe in alcun modo potuto avvedere dell’imminente emanazione di simili provvedimenti.

A tal fine, occorrerà valutare se davvero il debitore abbia adottato, nel caso specifico, tutte le cautele esigibili da un debitore diligente.

Deve quindi essere prestata attenzione, ad esempio, al momento della stipula del contratto dal quale scaturisce la prestazione inadempiuta; si noti infatti che se il negozio fosse stato concluso in un momento antecedente all’emanazione delle misure governative responsabili dell’impossibilità della prestazione, sarebbe da ritenere altamente probabile che il debitore non fosse in grado, al momento della stipula, di prevederne l’emanazione, andando conseguentemente esente da colpa. Viceversa, sarebbe più difficile sostenere l’assenza di responsabilità in capo al debitore inadempiente che si fosse obbligato dopo l’adozione dei provvedimenti dell’Autorità.

  1. La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione

In ogni caso, anche in presenza di un’impossibilità della prestazione incolpevole, qualora fossero sorte dal negozio prestazioni corrispettive non si potrebbe di certo pensare che il creditore di una siffatta prestazione fosse tenuto ad adempiere la propria obbligazione senza ricevere la dovuta controprestazione.

Nell’ipotesi in esame, non potendo agire per ottenere per il risarcimento del danno subito a cagione dell’inadempimento – per le ragioni che sono state già ampiamente suesposte –, la parte insoddisfatta potrà chiedere, ai sensi degli artt. 1463 e ss. c.c., soltanto la risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità della prestazione e l’eventuale restituzione di quella già eseguita.

Per concludere, deve essere altresì presa in esame la diversa ipotesi in cui l’impossibilità della prestazione sia solo temporanea.

In questo caso, a norma del comma secondo dell’art. 1256 c.c., pur non potendo il debitore essere chiamato a rispondere del ritardo nell’adempimento finché tale impossibilità perduri, l’obbligazione si estinguerà nell’eventualità, in relazione al titolo dell’obbligazione e alla natura dell’oggetto, il debitore non possa ulteriormente essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione o il creditore non abbia più interesse a conseguirla.

Nell’ultimo caso, esposto al precedente capoverso, qualora il creditore non abbia più interesse a conseguire la prestazione a cagione dell’impossibilità temporanea della stessa, egli sarà legittimato ad ottenere la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1256 co. 2 e 1463 c.c., ma non potrà pretendere alcun risarcimento dal debitore inadempiente, giacché debitore diligente.

  1. Esempi pratici

Al fine di rendere il concetto chiaro, immaginiamo che un soggetto avesse acquistato un componente necessario alla messa a punto di un innovativo prototipo, al fine di ottenerne la brevettazione, esplicitando tale motivo nel testo contrattuale.

Immaginiamo, ora, che il componente in questione non fosse stato consegnato in tempo utile a cagione della sospensione dell’attività della società alienante, dovuta agli effetti del DPCM emanato per contrastare la diffusione del Coronavirus e che, medio tempore, una società concorrente fosse altresì riuscita a brevettare un analogo trovato, privando la società acquirente della possibilità di brevettare il proprio, in quanto, in quel momento, privo del requisito della novità; e ciò con inevitabile pregiudizio della società acquirente.

Ecco che allora quest’ultima, la quale non avrebbe più, a cagione del ritardo nella consegna, alcun interesse all’adempimento tardivo dell’obbligazione debitoria, potrebbe  chiedere la risoluzione del contratto ex artt. 1256 co. 2 e 1463 c.c., ottenendo altresì la restituzione del prezzo eventualmente corrisposto.

Tuttavia, in accordo con quanto sopra ampiamente argomentato, l’inadempimento del debitore non potrebbe essere a quest’ultimo imputato, data l’imprevedibilità e l’eccezionalità dell’intervento normativo d’urgenza e, per l’effetto, lo stesso non potrebbe essere chiamato a risarcire il creditore-acquirente del danno subito a cagione dell’incolpevole ritardo nell’adempimento.

 

avv. Nicolò Tognon