In tema di forma del patto fiduciario immobiliare, la sentenza resa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte lo scorso 6 marzo 2020 (Cass., Sez. Un., 06 marzo 2020, n. 6459) ha rappresentato un approdo tanto atteso quanto inaspettato.

Contrariamente, infatti, a quanto sostenuto dall’orientamento maggioritario e consolidato, è stata sancita, attraverso un’argomentata motivazione, la validità del pactum fiduciae avente ad oggetto un bene immobile concluso verbalmente e non in forma scritta.

Appare opportuno, in via preliminare e al fine di meglio mettere a fuoco il “nodo” della questione, richiamare, seppur brevemente, i contorni della discussa figura del negozio fiduciario, il quale, nato dalla prassi e non codificato dal legislatore, può invero a buon diritto definirsi un prodotto concettuale dell’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza.

Ebbene, in linea generale (e a prescindere dalla tassonomia che distingue la fiducia statica dalla fiducia dinamica e la fiducia cum amico da quella cum creditore), si può dire che il negozio fiduciario consista in un’operazione negoziale con la quale un soggetto (c.d. “fiduciante”) trasferisce o fa trasferire da un terzo la titolarità di un bene ad un altro soggetto (c.d. “fiduciario”), il quale si obbliga a utilizzare il bene stesso secondo le indicazioni del primo e a ritrasferirlo, in un momento successivo, al fiduciante medesimo o ad un terzo da questi designato.

L’operazione descritta produce quindi un effetto reale laddove la proprietà di un bene viene trasferita da un soggetto (il fiduciante o un terzo) ad un altro soggetto (il fiduciario), ed un effetto obbligatorio laddove il fiduciario si obbliga verso il fiduciante a gestire ed amministrare il bene secondo le sue istruzioni e a ritrasferirgliene la titolarità.

Il proprium del c.d. pactum fiduciae, è essenziale porlo in evidenza, si rinviene in tale ultimo “segmento” dell’operazione descritta, ovvero nell’obbligo assunto dal fiduciario di ritrasferire al fiduciante la proprietà del bene oggetto del pactum (obbligo che, se inadempiuto, potrà naturalmente legittimare il fiduciante ad agire ex art. 2932 c.c.).

Tanto premesso, la questione di cui sono state investite le Sezioni Unite può sintetizzarsi nella seguente domanda: il patto fiduciario (ovvero, come appena evidenziato, il patto di ritrasferimento) che ha ad oggetto un bene immobile deve rivestire la forma scritta a pena di nullità?

Unanimemente pacifico, infatti, che ai sensi dell’art. 1350 c.c. debba rivestire forma scritta l’atto di trasferimento della proprietà dell’immobile dal fiduciante al fiduciario (o dal terzo al fiduciario), nonché l’atto con cui il fiduciario opera il ritrasferimento al fiduciante della proprietà dell’immobile in esecuzione del pactum fiduciae, in merito invece alla forma che deve rivestire il pactum fiduciae “in sé” (ovvero, lo si ripete, in merito alla forma che deve rivestire la promessa di ritrasferimento) sono venuti a contrapporsi due orientamenti giurisprudenziali.

Ebbene, secondo il primo, maggioritario orientamento, il patto fiduciario avente ad oggetto un bene immobile deve rivestire a pena di nullità la forma scritta.

Consistendo, infatti, nell’impegno al futuro trasferimento della titolarità di un bene, esso deve essere assimilato al contratto preliminare, con la conseguente operatività della regola della forma per relationem di cui all’art. 1351 c.c. (cfr. Cass. civ. n. 5663/1988; 9489/2000; 11757/2014; 23093/2019), la quale disposizione troverebbe invero applicazione (per analogia o in via estensiva) a tutti i contratti – non solo al preliminare in senso stretto – produttivi di un futuro obbligo a contrarre. Se manca ab origine la forma scritta, il patto, dunque, è nullo. In questo senso, aggiunge la giurisprudenza in parola, non può peraltro considerarsi sufficiente ad integrare il requisito della forma scritta la mera dichiarazione unilaterale (ricognitiva o confessoria) resa ex post dal fiduciario con cui questi riconosca l’esistenza di un accordo previamente intervenuto con il fiduciante in forma orale (cfr. Cass. civ. n. 3706/1994; 10163/2011).

Il secondo orientamento, rappresentato in verità da una sola pronuncia (Cass. civ. n. 10633/2014), sostiene invece che il patto fiduciario immobiliare “in sé” non richieda la forma scritta, potendosi ritenere soddisfatto tale medesimo requisito anche dalla sola dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario contenente l’impegno al trasferimento al fiduciante del bene in esplicita attuazione del patto precedentemente concluso in forma orale. A ben vedere, pertanto, il requisito della forma scritta non viene invero messo in discussione da tale orientamento: essa, sostiene tale pronuncia, può considerarsi integrata da una mera dichiarazione unilaterale resa ex post. Muovendo, da un lato, dalla pratica constatazione secondo la quale è affatto infrequente che l’accordo fiduciario sia concluso in forma orale e conformandosi, dall’altro lato, ad un’analoga innovativa pronuncia, di poco precedente, in tema di mandato senza rappresentanza ad acquistare beni immobili (cfr. Cass. civ. n. 20051/2013), tale orientamento, in altri termini, conferisce alla dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario, successiva alla conclusione orale del pactum fiduciae, il rango di vera e propria fonte di obbligazione laddove contenga un “impegno attuale e preciso al ritrasferimento”.

A fronte di tali posizioni, la citata sentenza delle Sezioni Unite adotta una soluzione decisamente originale, la quale, discostandosi dal primo orientamento e smentendo il secondo, sancisce la validità del patto fiduciario immobiliare concluso oralmente a prescindere dall’esistenza di una successiva dichiarazione ricognitiva scritta.

Il fondamentale punto di partenza su cui si innesta il ragionamento delle Sezioni Unite consiste, da un lato, nel rigetto della tesi dell’assimilazione del pactum fiduciae al contratto preliminare e, dall’altro lato, nella qualificazione alla stregua di un mandato senza rappresentanza della complessiva operazione negoziale con la quale il fiduciario, per conto del fiduciante, acquista in nome proprio da un terzo un bene immobile obbligandosi a ritrasferirne la proprietà al fiduciante stesso.

La differenza rispetto al contratto preliminare, sostengono le Sezioni Unite, sarebbe invero rinvenibile sia sul piano strutturale che su quello della causa: nel primo senso, mentre nel preliminare l’effetto obbligatorio è strumentale all’effetto reale e lo precede, nel patto fiduciario si verifica l’opposto, venendo prima l’effetto reale e poi, su questo “innestandosi”, quello obbligatorio; nel secondo senso, inoltre, mentre nel contratto preliminare l’atto traslativo del diritto di proprietà sarebbe qualificato da una sua causa tipica, riferendosi l’obbligo a contrarre nascente dal preliminare medesimo ad un contratto causale tipico (quello di compravendita), nell’atto di trasferimento del diritto di proprietà compiuto dal fiduciario, così come avviene nel caso di mandato senza rappresentanza, sarebbe rinvenibile invece un “pagamento traslativo”, ovvero, in altri termini, un atto esecutivo che rinviene il proprio fondamento causale nel (precedente) patto fiduciario.

Prese le distanze dalla tesi che richiamando il contratto preliminare invocava l’applicazione dell’art. 1351 c.c., l’assimilazione al mandato senza rappresentanza risulta dunque decisiva per pervenire alla conclusione della validità del patto concluso oralmente: la figura negoziale in parola è un contratto “a struttura debole”, per il quale la legge non prevede alcun vincolo di forma, neppure laddove lo stesso abbia ad oggetto un bene immobile. A tale conclusione, ricorda il Supremo consesso, è pervenuta anche la più recente giurisprudenza che, superando un precedente diverso orientamento, ha statuito, in conformità al generale principio della libertà delle forme, la non necessarietà della forma scritta per il mandato ad acquistare beni immobili (cfr. Cass. civ. n. 20051/2013). Due in particolare sarebbero in questo senso gli argomenti dirimenti: in primo luogo, mentre la forma solenne è richiesta per gli atti ad effetto reale, dal mandato senza rappresentanza sorgono, circa i rapporti interni tra mandante e mandatario, solo effetti obbligatori; in secondo luogo, se è vero che anche dal preliminare discendono effetti solo obbligatori ed è vero che per tale contratto – laddove abbia ad oggetto beni immobili – ai sensi dell’art. 1351 c.c. è tuttavia richiesta la forma scritta, nondimeno, attesa la netta distinzione tra preliminare e mandato, a quest’ultimo non può trovare applicazione la norma di cui all’art. 1351 c.c., la quale, essendo norma eccezionale (poiché deroga al principio di libertà delle forme), non è suscettibile né di applicazione analogica né di interpretazione estensiva.

Ebbene, come argomentato per il mandato senza rappresentanza all’acquisto di un bene immobile, così – concludono le Sezioni Unite – anche ai fini della validità del patto fiduciario immobiliare, a quello assimilato, non si impongono vincoli di forma: l’accordo fiduciario concluso verbalmente è dunque valido ed efficace, a nulla rilevando in tal senso l’esistenza o meno di una successiva dichiarazione scritta con cui il fiduciario, promettendo il ritrasferimento, riconosca il patto precedentemente concluso in forma orale (tale medesima dichiarazione, ai sensi dell’art. 1988 c.c., potrà invece rilevare a fini probatori).

Due sintetiche considerazioni di commento alla sentenza: essa, da un lato, presenta (perlomeno) un merito e tuttavia, dall’altro lato, può essere oggetto di (perlomeno) una – decisiva – critica.

Partendo dal merito: la validità del pactum fiduciae concluso oralmente viene svincolata dalla presenza di una successiva dichiarazione ricognitiva scritta del fiduciario. La giurisprudenza che riconosceva validità al patto fiduciario orale laddove a questo si accompagnasse un successivo atto unilaterale ricognitivo scritto era incorsa, invero, in un grossolano errore dogmatico: la dichiarazione di cui all’art. 1988 c.c., insegnano la dottrina e la dominante giurisprudenza,  lungi dal costituire autonoma fonte di obbligazione, ha come unico effetto quello di sollevare il destinatario della stessa dall’onere di provare l’esistenza del (preesistente) atto da cui origina il rapporto obbligatorio.  In altri termini, ammessa la validità di un patto fiduciario immobiliare orale, è dal patto medesimo (e solo da esso!) che origina l’obbligo di ritrasferimento e non dalla successiva dichiarazione unilaterale scritta resa dal fiduciario, la quale – lo si ripete – lungi dal costituire la fonte dell’obbligo di ritrasferimento, non può che operare sul solo terreno della prova determinando in favore del fiduciante la c.d. relevatio ab onere probandum.

Venendo, invece, alla critica: come detto, il fondamentale punto di partenza del ragionamento compiuto dalle Sezioni Unite consiste, da un lato, nel rigetto dell’assimilazione del patto fiduciario al contratto preliminare e, dall’altro lato, nella qualificazione del medesimo alla stregua di un mandato senza rappresentanza. Tale duplice assunto non convince. O meglio, può convincere nella parte in cui l’operazione posta in essere viene assimilata al mandato senza rappresentanza, ma non nella parte in cui, ravvisandosi una dicotomica alternativa tra questo e il preliminare, si pretende di affrancare la promessa di ritrasferimento dalla figura negoziale del preliminare.

In breve, se è vero che il contratto preliminare è il “patto che ha ad oggetto l’obbligo per le parti di concludere un successivo contratto”, per quale ragione quel “segmento” del pactum fiduciae (o del mandato senza rappresentanza) con cui il fiduciario si obbliga al ritrasferimento del bene (e in cui, abbiamo detto, consiste invero il proprium del patto medesimo) non dovrebbe qualificarsi alla stregua di contratto preliminare?

Le Sezioni Unite, come riportato, hanno compiuto un elaborato sforzo ricostruttivo teso a differenziare le due figure: l’impressione è che un ragionamento tanto elaborato fosse appunto necessario per superare questa (forse) banale (e tuttavia decisiva) obiezione. Resta invero il dubbio che, guardando agli argomenti della Corte più da vicino, il ragionamento risulti un tanto forzato e, in definitiva, non convincente. Questo, in ogni modo, meriterebbe un’analisi più approfondita, non possibile in questa sede.

Di Beniamino Parenzo