Traccia Atto Penale – Esame Avvocato 2018

In data 9 febbraio 2016 Tizio si trova nei giardini pubblici del Comune di Alfa con il proprio cane di piccola taglia tenuto a guinzaglio.

All’improvviso un cane di grossa taglia, senza guinzaglio e con comportamento aggressivo, si lancia contro il cane di Tizio e cerca di azzannarlo. Tizio, munitosi di un grosso bastone trovato nelle vicinanze, colpisce violentemente il cane di grossa taglia, uccidendolo.

Di lì a breve arriva Caio, proprietario del cane ucciso, che, sconvolto per l’accaduto denuncia Tizio.

All’esito del processo penale di primo grado, il giudice ritiene Tizio responsabile del delitto previsto e punito dall’art. 544-bis c.p. e lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, senza riconoscere alcuna circostanza attenuante in considerazione del fatto che l’imputato ha diversi precedenti penali per reati contro il patrimonio. Ad avviso del giudicante, Tizio ha causato la morte del cane di Caio “senza necessità“, avendo agito al solo fine di difendere il proprio animale di compagnia.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto più idoneo a tutelare le ragioni del proprio assistito.

Soluzione proposta – Atto Penale

AVANTI LA CORTE D’APPELLO DI ___________

ATTO DI APPELLO

Il sottoscritto Avv. ___________________ del Foro di ___________, con studio in ___________, via ___________________, difensore di fiducia, giusta nomina in atti, del signor Tizio nato a ___________ (___), il ___________, e residente in ___________, via ___________________ (___), imputato nel procedimento penale n. ___________ r.g.n.r. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Alfa, ai sensi degli artt. 571 e 593 c.p.p., propone

APPELLO

avverso la sentenza n. ___________ reg. sent. emessa il ___________ dal Tribunale di Alfa, Giudice dott. ___________________, depositata in data ___________, con la quale il signor Tizio è stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione per il delitto di cui all’art. 544-bis c.p..

L’impugnazione si riferisce a tutti i capi ed i punti dell’impugnata sentenza che hanno disposto la condanna dell’imputato, nessuno escluso.

***

FATTO

Tizio, in data 9 febbraio 2016, si trovava nei giardini pubblici del Comune di Alfa con il proprio cane di piccola taglia tenuto a guinzaglio.

Costretto dalla necessità di rispondere all’attacco sferrato da un cane di grossa taglia al proprio cagnolino, Tizio si muniva di un grosso bastone trovato nelle vicinanze, colpendo il cane aggressivo e così uccidendolo.

Tizio veniva condannato per il reato di cui all’art. 544-bis c.p.: ad avviso del giudicante, Tizio aveva agito senza necessità, avendo posto in essere la condotta al solo fine di difendere il proprio animale di compagnia.

Tale decisione appare manifestante illogica e infondata ed è censurabile per i seguenti

MOTIVI

1) Erronea applicazione della legge penale: Sull’erronea ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 544-bis e sul mancato riconoscimento della necessità della condotta di Tizio.

Nel procedimento di primo grado Tizio è stato condannato per il reato di cui all’art. 544-bis c.p.: appare del tutto non condivisibile la ricostruzione fornita dal Giudicante, il quale ha ritenuto erroneamente insussistente lo stato di necessità nella condotta di Tizio, argomentando (tale assenza di necessità) alla luce del fatto che Tizio abbia agito al solo fine di difendere il proprio animale.

Necessitata appare allora la ricostruzione della fattispecie a Tizio ascritta.

Il reato di cui all’art. 544-bis c.p. punisce chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale.

Bene giuridico protetto da tale norma è il sentimento di pietà e compassione per la sofferenza degli animali. Soggetto attivo può essere chiunque, anche il proprietario dell’animale; trattasi dunque di un reato comune.

La condotta consiste nel cagionare la morte di un animale. Oltre ad un’azione la condotta può essere integrata anche da un’omissione.

Sono previsti due requisiti di illiceità speciale, la “crudeltà” e la “mancanza di necessità”. Per crudeltà deve intendersi una volontaria inflizione di sofferenze da parte dell’uomo nei confronti dell’animale indipendentemente dalle motivazioni.

Per mancanza di necessità, elemento di illiceità speciale che in questa sede interessa e rileva, deve intendersi non soltanto la ricorrenza dei requisiti della scriminante comune di cui all’art. 54 c.p., ma anche l’eventuale presenza di bisogni sociali: vi è dunque una concezione molto ampia di necessità.

Inoltre, non si può non dare atto, in tema di ricostruzione del concetto di “necessità” di una recente pronuncia della suprema Corte.

Più in particolare, la stessa ha ritenuto configurabile la scriminante dello stato di necessità nel caso in cui il proprietario di un cane di piccola taglia uccida un altro cane per difendere il proprio animale dall’aggressione. Per la Corte, nel concetto di necessità è infatti ricompresa ogni situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile (così anche Cass. pen. 50329/2016).

A ben vedere, nel caso di specie, non v’è chi non veda come Tizio abbia ucciso il cane di grossa taglia proprio al fine di difendere il proprio cane: fine ritenuto dalla stessa Suprema Corte riconducibile al concetto elastico di “necessità”.

Vieppiù.

La sussistenza dello stato di necessità appare maggiormente avvalorato dal fatto che il cane di grossa taglia si trovasse solo e senza guinzaglio, e dunque del tutto privo di un adeguato controllo.

È evidente dunque come la fattispecie incriminatrice riconosciuta all’odierno imputato non può ritenersi integrata sotto il profilo dell’elemento oggettivo: difatti, la mancanza della necessità – indicata dalla stessa norma incriminatrice – è vero e proprio elemento negativo del fatto che, nell’ipotesi sussista, esclude la sussistenza dello stesso fatto tipico.

Da qui la necessaria conseguenza di una pronuncia assolutoria in quanto il fatto non sussiste.

Ad ogni buon conto, anche nell’ipotesi in cui codesta Ecc.ma Corte d’Appello volesse interpretare tale elemento di illiceità speciale come ipotesi specifica della scriminante dello stato di necessità, è evidente come Tizio abbia posto in essere la propria condotta al solo fine di impedire un grave pericolo per l’incolumità propria e del proprio cane.

Imposta dunque sarebbe, in ogni caso, una sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato.

Vedi di più (*)

2) Sulla manifesta sproporzionalità della pena base computata. Mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Nella denegata e non creduta ipotesi in cui l’intestata Corte non dovesse accogliere il motivo che precede, si osserva in ogni caso che la pena concretamente irrogata in capo a Tizio è manifestamente sproporzionata.

La sentenza di primo grado condanna Tizio alla pena di quattro mesi di reclusione, senza riconoscere alcuna circostanza attenuante in considerazione del fatto che l’imputato ha diversi precedenti penali per reati contro il patrimonio.

Quanto alle attenutati generiche, previste dall’art. 62-bis c.p. l’istituto è finalizzato a mitigare l’eccessivo rigore sanzionatorio di talune pronunce nelle ipotesi in cui ricorrano circostanze che – sebbene non tipizzate – giustificherebbero l’irrogazione di una pena più mite.

Come noto, salvo alcuni casi, la concessione delle attenuanti in parola si inserisce nell’ampio potere discrezionale del giudice attribuito al medesimo dall’art. 133 c.p.: secondo i paramenti oggettivi e soggettivi ivi elencati, il giudicante è tenuto a modulare la pena da irrogare in concreto.

Nel caso di specie, pare che il Giudice di prime cure non abbia tenuto in debita considerazione alcuni aspetti, con conseguente manifesta eccessività della pena irrogata.

Anzitutto, si osserva che Tizio riporta precedenti penali per soli reati contro il patrimonio.

Trattasi però di reati di indole del tutto diversa da quello ascritto nel presente processo, essendo il reato di cui all’art. 544-bis posto a tutela del sentimento di pietà e compassione per la sofferenza degli animali.

Più precisamente, con riferimento ai precedenti penali si ritiene che gli stessi non siano di per sé ostativi alla concessione delle attenuanti generiche dovendo il giudice valutare complessivamente il fatto oggetto del giudizio e della personalità dell’imputato, tenendo quindi in considerazione lo spessore criminologico dello stesso.

Di conseguenza, è evidente come Tizio abbia agito, in questo caso, per la necessità di difendere il proprio cagnolino che, in mancanza dell’intervento del padrone, sarebbe andato incontro a morte certa.

Non può nemmeno trascurarsi come l’azione di Tizio (rectius: reazione) risulti avvalorata dal fatto che il cane di grossa taglia e per di più aggressivo si trovasse solo e senza guinzaglio e dunque libero di poter aggredire lo stesso Tizio o il proprio cagnolino.

Ad ogni buon conto, non si può non ritenere come l’odierno imputato abbia agito preso dalla disperazione e dall’impeto derivante dall’oggettivo e persistente pericolo.

In ogni caso, a riprova dell’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche, lo scrivente ritiene opportuno evidenziare come Tizio abbia mantenuto un corretto ed esemplare comportamento processuale tale da giustificare la concessione delle attenuanti in parola.

***

Alla luce dei motivi sopra esposti, il sottoscritto difensore

chiede

che l’Ecc. ma Corte d’Appello intestata voglia, in riforma della decisione impugnata, nel merito,

in via principale, pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., perché il fatto non sussiste;

in subordine, in ogni caso pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., perché il fatto non costituisce reato;

in via ulteriormente subordinata, nella denegata ipotesi in cui non fosse accolta la richiesta anzidetta, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, diminuire la pena in quanto manifestamente eccessiva e dunque in contrasto con le finalità ad essa attribuite dall’art. 27, comma 3 Cost.

Con osservanza.

Luogo, data

Avv. ___________________

(*)

Ferma restando la bontà della soluzione indicativa sopra riportata, a nostro avviso, il presente atto poteva essere risolto anche inserendo un ulteriore motivo a mero scopo difensivo. Invero, trattasi di un atto di appello di parte e non di un parere pro veritate in cui la componente difensiva può permettere anche l’individuazione di un motivo quale il seguente. Tale motivo, per di più, parrebbe avvalorato dall’espressa indicazione del fatto che Caio si è limitato a proporre denuncia e non querela e, per l’effetto, si ritiene possa essere plausibile anche un motivo in punto di riqualificazione poiché premiante alla luce delle non complete indicazioni fornite dalla traccia.

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Erronea applicazione della legge penale. Riqualificazione del fatto nella diversa fattispecie di cui all’art. 638 c.p. comma 1: Mancanza dell’elemento oggettivo e soggettivo nonché della condizione di procedibilità richiesta dalla fattispecie.

Ad ogni buon conto, lo scrivente ritiene comunque opportuno svolgere un breve riferimento alla diversa fattispecie di cui all’art. 638 c.p., nella denegata ipotesi in cui il Giudice non voglia accogliere la precedente richiesta.

Tale fattispecie, in tema di uccisione o danneggiamento di animali altrui, punisce – a querela della persona offesa – chiunque senza necessità uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Bene giuridico tutelato è, secondo l’orientamento tradizionale il diritto di proprietà, anche se la dottrina più recente estende l’oggettività giuridica del reato in esame fino a ricomprendervi, oltre alla proprietà, anche le relazioni di godimento e la stessa integrità della cosa nella sua sostanza e utilizzabilità.

Trattasi di forma speciale di danneggiamento, che si connota per il particolare oggetto materiale della condotta, che non è genericamente una cosa, bensì un animale.

Soggetto attivo può essere chiunque, trattandosi di reato comune.

La condotta può consistere alternativamente nell’uccidere, rendere inservibile o comunque deteriorare animali appartenenti ad altri soggetti.

Elemento soggettivo è il dolo generico.

Si tratta di una fattispecie sussidiaria e residuale, avendo il legislatore inserito all’interno della stessa un’espressa clausola di salvezza e così stabilendo la sussistenza della stessa solo nell’ipotesi in cui il fatto non integri un più grave reato.

La procedibilità è a querela della persona offesa.

A ben vedere è evidente come, nel caso di specie, Tizio non abbia agito poiché animato dal disprezzo del sentimento di pietà verso l’animale ma abbia semmai astrattamente posto in essere una condotta di fatto potenzialmente lesiva del patrimonio di Caio.

Anche qualora si avvalorasse tale tesi, tuttavia, risulta palese come difettino in via preliminare la condizione di procedibilità, e, anche in tale ipotesi, l’elemento oggettivo.

In primo luogo, Caio si è limitato a “denunciare” il fatto, non presentando la querela richiesta dall’art. 638 c.p., senza manifestare dunque la volontà che si procedesse per un fatto previsto come reato.

Doverosa appare essere allora una sentenza di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 c.p.p..

In ogni caso, deve evidenziarsi come la norma ricalchi la struttura del reato di cui all’art. 544-bis c.p., prevedendo come elemento costitutivo il fatto che il soggetto agente abbia posto in essere la condotta senza necessità.

Più in particolare, in punto di elemento oggettivo, si osserva come l’aver agito “senza necessità” costituisca elemento negativo del fatto, con l’inevitabile conseguenza che, qualora il soggetto agente abbia ucciso o danneggiato per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile, tale elemento esclude la sussistenza del reato stesso.

In questo caso, doverosa deve considerarsi una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.

Analogo ragionamento può essere compiuto anche qualora si ritenesse che lo stato di necessità debba essere inteso come specifica ipotesi rispetto a quella di cui all’art. 54 c.p.: l’integrazione dello stato di necessità porterebbe a un’ineludibile sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato.