Traccia Parere Civile Nr. 1 – Esame Avvocato 2019

L’imprenditore individuale Tizio si rivolge alla società Gamma affinché la stessa acquisti un macchinario che è in vendita presso il negozio gestito da Caio e glielo conceda poi in locazione finanziaria. Il contratto di Leasing viene stipulato e prevede il pagamento, a carico dell’utilizzatore Tizio, della complessiva somma di 60.000 euro, suddivisa in rate mensili di 1.000 euro ciascuna.

Contestualmente, la società Gamma e il fornitore stipulano un patto di riacquisto in forza del quale Caio, in caso di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing e a seguito di apposita richiesta da parte della società Gamma, si obbliga a riacquistare il bene a un prezzo prestabilito.

Nel corso del rapporto contrattuale, però, Tizio non paga le ultime 10 rate pattuite. Caio, pur consapevole di non esservi tenuto e per evitare di essere costretto a riacquistare un bene che, in quanto usato, ha ormai perso gran parte del suo valore commerciale, decide di provvedere lui stesso al pagamento dei residui canoni insoluti e versa alla società concedente la somma di 10.000 euro.

Successivamente Caio cita in giudizio Tizio dichiarando di agire in regresso ai sensi dell’articolo 1950 c.c. e chiedendo la restituzione della somma, maggiorata degli interessi legali dalla data del pagamento. Tizio, ricevuta la notificazione dell’atto di citazione, si rivolge ad un legale per un consulto.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga un parere motivato illustrando le questioni sottese al caso in esame e indicando la linea difensiva più utile a tutelare la posizione del proprio assistito.

Soluzione proposta – Parere Civile Nr. 1

La traccia sottoposta all’attenzione dello scrivente impone di soffermarsi sui rapporti tra leasing, rimedi in caso di risoluzione e pagamento da parte del terzo del debito gravante a carico dell’utilizzatore.

Tizio, imprenditore individuale, si rivolgeva alla società Gamma perché essa acquistasse un bene di proprietà di Caio, concedendoglielo poi in leasing. Il leasing stipulato prevedeva il pagamento di 60 canoni mensili da 1.000 euro l’uno.

Gamma e Caio, peraltro, stipulavano un contratto con cui Caio si vincolava a riacquistare a un prezzo prestabilito il bene fornito il leasing nel caso di risoluzione per inadempimento del contratto e dietro specifica richiesta di Gamma.

Tizio si rendeva inadempimento, non pagando gli ultimi dieci canoni. Caio, dal canto suo, versava a Gamma la somma di 10.000 euro, pari a canoni insoluti, pur sapendo di non esservi tenuto.

A fronte di questo pagamento, Caio ha agito nei confronti di Tizio ai sensi dell’art. 1950 c.c., ossia esercitando un’azione di regresso che compete al fideiussore, e chiedendo la restituzione dei 10.000 euro pagati, oltre interessi dalla data del pagamento.

La soluzione del caso richiede, anzitutto, di esaminare l’istituto del leasing, tipizzato recentemente dal legislatore con l. 124/2017. Di poi, ci si chiederà quale sia la natura del patto sottoscritto tra Gamma e Caio. Infine, si esaminerà la fondatezza dell’azione esperita da Caio, verificando anche se lo stesso Caio, instaurando un nuovo procedimento o nell’ambito dello stesso processo, possa ottenere una condanna di Tizio ad altro titolo.

Come noto, il leasing è il contratto con cui una parte concede in godimento a un’altra parte un certo bene dietro un corrispettivo e per un certo periodo di tempo, scaduto il quale l’utilizzatore potrà divenire proprietario del bene, eventualmente pagando un’ulteriore somma, o potrà semplicemente restituirlo al concedente.

Il leasing per lungo tempo ha rappresentato un contratto socialmente tipico, ma legalmente tipico, in quanto sprovvisto di un’organica disciplina legale.

La giurisprudenza, supplendo al legislatore, ha ritenuto fin da subito che il leasing fosse un contratto meritevole, e per ciò idoneo a creare rapporti giuridici vincolanti, e al tempo stesso ha distinto varie tipologie di leasing.

Si è così parlato di leasing finanziario, in cui fornitore – colui che produce il bene – e concedente non coincidono (solitamente il concedente è una banca) e di leasing operativo, in cui invece essi coincidono. Inoltre, si sono contrapposti il leasing traslativo e il leasing di godimento: in particolare, «il leasing di godimento risulta stipulato con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e in corrispettivo di canoni remunerativi esclusivamente dell’uso dei beni locati. Il leasing traslativo risulta invece stipulato con riferimento a beni idonei a conservare alla scadenza del contratto un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e in corrispettivo di canoni che includono anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto da parte dell’utilizzatore. Tale bipartizione, lungi dal risolversi in una semplice disquisizione teorica vertente sul profilo causale del negozio, si riflette sugli effetti propri della risoluzione del contratto in caso di inadempimento da parte dell’utilizzatore. Infatti – fermo restando in entrambi i casi il diritto del concedente alla restituzione del bene – nel primo caso, in applicazione della disciplina generale in materia di contratto ad esecuzione periodica o continuata (art. 1458 c.c.), il concedente ha diritto a trattenere i canoni già riscossi, proprio perché strettamente funzionali alla detenzione avuta dall’utilizzatore per l’intero periodo di efficacia del contratto; nel secondo caso, invece, viene ritenuta prevalente la causa di scambio rispetto a quella di finanziamento, con conseguente applicazione della disciplina della vendita con riserva di proprietà e, quindi, dell’art. 1526 c.c. Sul piano rimediale, la conseguenza è che l’utilizzatore, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, il quale comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo, il logoramento per l’uso, oltre al risarcimento del danno che può derivare da un deterioramento anormale della cosa dovuto all’utilizzatore» (così da ultimo Trib. Milano, 15 ottobre 2018, n. 10331).

Di recente, tuttavia, è intervenuto il legislatore, il quale ha regolato espressamente all’art. 1, l. 124/2017, il leasing finanziario, dettandone una disciplina completa quanto a presupposti, effetti e conseguenze in caso di risoluzione per inadempimento.

Ivi si è previsto, in particolare, che «per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo».

Inoltre, secondo quanto previsto dal legislatore, «Costituisce grave inadempimento dell’utilizzatore il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria. In caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento dell’utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente. Ai fini di cui al comma 138, il concedente procede alla vendita o ricollocazione del bene sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati. Quando non è possibile far riferimento ai predetti valori, procede alla vendita sulla base di una stima effettuata da un perito scelto dalle parti di comune accordo nei venti giorni successivi alla risoluzione del contratto o, in caso di mancato accordo nel predetto termine, da un perito indipendente scelto dal concedente in una rosa di almeno tre operatori esperti, previamente comunicati all’utilizzatore, che può esprimere la sua preferenza vincolante ai fini della nomina entro dieci giorni dal ricevimento della predetta comunicazione. Il perito è indipendente quando non è legato al concedente da rapporti di natura personale o di lavoro tali da compromettere l’indipendenza di giudizio. Nella procedura di vendita o ricollocazione il concedente si attiene a criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore».

La Suprema Corte, con una recentissima e condivisibile pronuncia (Cass., 29 marzo 2019, n. 8980), ha peraltro ritenuto che «la nuova disposizione ha tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma distinta dalla vendita con riserva di proprietà … escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge».

Sulla base delle premesse formulate, procediamo a sussumere i fatti concreti nelle norme giuridiche.

Orbene, il contratto concluso tra Tizio, Gamma e Caio è un leasing finanziario, rispetto a cui manca però la previsione del pagamento di un prezzo finale per mantenere la titolarità del bene. Nondimeno, parrebbe possibile applicarvi la disciplina del leasing finanziario per come dettata dal legislatore: si rientra comunque all’interno dell’elasticità del tipo legale.

Quanto, poi, al patto concluso tra Caio e Gamma, esso impone a Caio di acquistare il bene concesso in leasing nel caso di risoluzione e a un prezzo prestabilito. Rispetto al contratto di leasing si può ritenere che un tale patto abbia comunque una rilevanza, rappresentando una modalità attraverso cui il concedente si garantisce di collocare il bene stesso sul mercato e quantifica ex ante il valore del bene.

A dire il vero, nel caso – più che probabile, stando ai dati di fatto di cui si è a conoscenza – in cui Tizio non abbia partecipato a questo accordo tra Caio e Gamma, non si può ritenere che esso gli sia opponibile: in altri termini, di fronte a una risoluzione del contratto di leasing per suo inadempimento, Tizio potrebbe ritenersi non vincolato dal contratto tra Caio e Gamma e potrebbe richiedere a quest’ultima di seguire le modalità indicate dal legislatore per quantificare il valore del bene. Nondimeno, là dove il prezzo ottenuto da Caio fosse più alto del valore di mercato, Tizio potrebbe giovarsi di questo accordo, poiché Gamma avrebbe comunque incamerato una somma più alta di quella ottenibile sul mercato tramite il procedimento previsto dal legislatore. In altri termini, Tizio potrebbe a suo piacimento decidere se avvantaggiarsi o meno del patto tra Caio e Gamma.

Ciò detto, va però sicuramente escluso che il contratto tra Caio e Gamma sia una fideiussione, rispetto a cui operi un regresso a favore di Caio; tanto meno con riferimento al caso di specie, in cui Caio ha pagato un debito altrui – quello di Tizio – a prescindere da una risoluzione per inadempimento del contratto di leasing, e anzi proprio per evitarla.

In conclusione, deve ritenersi che la pretesa di Caio ex art. 1950 c.c. sia del tutto infondata.

Nondimeno, Caio potrebbe agire nei confronti di Tizio ai sensi dell’art. 2041 c.c., ossia per ingiustificato arricchimento, per aver pagato un debito consapevolmente altrui (pagamento del terzo, art. 1180 c.c.). A tale titolo potrebbe però richiedere soltanto la somma minore tra il suo impoverimento (pari a 10.000 euro oltre interessi) e l’arricchimento di Tizio.

Un simile arricchimento dovrebbe quantificarsi come segue: sottraendo all’attuale valore di mercato del bene di cui Tizio continua a godere (a, situazione attuale) una somma pari al prezzo che Gamma avrebbe incamerato se il contratto con Tizio fosse stato risolto e Caio avesse dovuto ottemperare al suo obbligo contrattuale di pagamento del prezzo, dedotta una somma equivalente all’ammontare dei canoni scaduti oltre interessi e spese (b, situazione ipotetica).

La ragione è che, se il contratto fosse stato risolto (e cioè se Caio non fosse intervenuto pagando il debito di Tizio), Tizio avrebbe ottenuto ai sensi delle previsioni di legge già citate la restituzione di una somma pari al valore del bene concesso in leasing sottratti i canoni ancora dovuti oltre interessi e spese. Un tale valore, come detto, avrebbe potuto essere pari al prezzo dovuto da parte di Caio in forza dell’accordo concluso con Gamma, qualora tale prezzo fosse stato superiore al valore di mercato del bene (come avvenuto nel caso di specie, secondo quanto è dato evincere dal testo della traccia).

L’arricchimento di Tizio, di conseguenza, non può che essere pari alla differenza tra la sua situazione attuale (a) e quella in cui sarebbe stato se Caio non avesse pagato (b).

Proprio perché il valore di mercato del bene concesso in leasing è inferiore al prezzo dovuto da Caio, stando a quanto si può desumere dalla traccia, si può pure ritenere che la differenza tra (a) e (b) sia inferiore a 10.000 euro oltre interessi: e che quindi a titolo di ingiustificato arricchimento Tizio sia debitore di una somma minore di quella richiestagli ex art. 1950 c.c.

Di conseguenza, si consiglia a Tizio di difendersi dalla pretesa di Caio eccependo di non dovergli alcuna somma; tanto più che Caio, com’è evidente, non potrà cambiare la sua domanda in corso di causa, poiché ciò costituirebbe un’inammissibile mutatio (e non già emendatio) libelli.

Non si può però scongiurare il rischio che, un domani, Caio agisca ai sensi dell’art. 2041 c.c. contro Tizio: a quel titolo Tizio verrebbe presumibilmente condannato, per quanto a una somma probabilmente inferiore rispetto a quella ora richiestagli.