Traccia Atto Penale – Esame Avvocato 2023

Tizio viene raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, in quanto indagato in ordine al delitto di favoreggiamento personale aggravato, (art. 378 co. 2 c.p.), perché nella qualità di primario ortopedico presso un ospedale pubblico di Napoli, aveva gratuitamente e riservatamente assistito in tale struttura un pericoloso e celebre capo di una cosca camorristica latitante, la cui identità e situazione giuridica universalmente nota, era a sua conoscenza.

Dalle indagini svolte era risultato, altresì, che Tizio non aveva effettuato alcuna annotazione della visita nei documenti ospedalieri.

Il candidato, assunte le vesti del difensore del sanitario indagato, rediga l’atto stimato opportuno soffermandosi sugli istituti e sulle problematiche sottese al caso in esame.

Soluzione proposta Atto Penale – Esame Avvocato 2023

TRIBUNALE DI NAPOLI

SEZIONE DEL RIESAME DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI

ALL’ILL.MO SIGNOR PRESIDENTE

RICHIESTA DI RIESAME EX ART. 309 C.P.P.

Il sottoscritto avv _____________ del Foro di _____________, con studio in _____________, difensore di fiducia, giusta nomina agli atti, del sig. Tizio, nato a _____________, il _____________, residente in via _____________ C.F. _____________, persona attualmente indagata per il delitto di cui all’art. 378 co. 2 c.p.p. nel procedimento n. _____________ RGNR e n. _____________ RGGIP iscritto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, con il presente atto propone

RIESAME

ex art. 309 c.p.p., avverso l’ordinanza emessa in data _____________ dal GIP di Napoli, eseguita il _____________, con la quale veniva applicata al sig. Tizio la misura della custodia cautelare in carcere.

Il presente atto è supportato dai seguenti

MOTIVI

Rilevato che il sig. Tizio, risulta attualmente sottoposto alla misura cautelare in oggetto poiché, a parere del GIP, egli avrebbe commesso il delitto di cui all’art. 378 co. 2 c.p., aiutando un noto camorrista locale ad eludere le ricerche dell’autorità giudiziaria attraverso lo svolgimento di prestazioni medico-sanitarie specialistiche di tipo ortopediche e, inoltre, non registrando la visita nei documenti ospedalieri.

DIRITTO

  1. INSUSSISTENZA DEI GRAVI INDIZI DI COLPEVOLEZZA EX ART. 273 C.P.P., IN RELAZIONE ALL’ART. 378 CO. 2 – MANCANZA DEL FUMUS COMMISSI DELICTI

L’ordinanza emessa dal GIP di Napoli appare erronea nella parte in cui ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti in capo a Tizio, mancando di effettuare una corretta analisi del concetto di aiuto ad eludere, previsto dall’art. 378 c.p. e, inoltre, ritenendo erroneamente sussistente l’obbligo di annotazione della visita svolta dal sig. Tizio all’interno dei registri ospedalieri.

Al fine di una corretta argomentazione, appare opportuno svolgere una disamina dell’art. 378 c.p., concentrandosi in particolar modo sul concetto di “aiuto” che la norma indica quale elemento costitutivo principale della condotta penalmente perseguibile. In particolare, il delitto in parola prevede la punibilità di colui che, successivamente alla commissione di un delitto, alla cui realizzazione non ha concorso, si adoperi al fine di aiutare il reo a eludere le investigazioni delle Autorità o a sottrarsi alle ricerche effettuate dalle stesse. Il campo applicativo di tale delitto viene limitato dal dettato della norma stessa, la quale prevede che tale fattispecie ricorra solo nel caso in cui il delitto presupposto sia punito con l’ergastolo o la reclusione, restringendo così la sussistenza del favoreggiamento personale solo a quei delitti ritenuti di maggior offensività per l’ordinamento giuridico e tutelando, al contempo, il regolare andamento dell’amministrazione della giustizia. Inoltre, al comma 2, l’art. 378 prevede una forma aggravata, configurabile nell’ipotesi in cui il delitto presupposto sia l’art. 416 bis c.p..

Approfondendo gli elementi costituti del delitto, il concetto di “aiuto” è stato oggetto di analisi giurisprudenziale, la quale si è interrogata in merito ai connotati che tale azione o omissione debba presentare per essere ritenuta effettivamente punibile. In particolare, si ritiene che tale condotta possa assumere forme, mezzi e modi diversi, elevando a elemento caratterizzante l’effettiva idoneità di essa a eludere le indagini e le ricerche. Pertanto, nella valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del delitto di cui all’art. 378 c.p., è necessario interrogarsi non sulle azioni ritenute sospette che l’indagato ha compiuto, o sulla conoscenza da parte dell’indagato delle attività criminali del favorito, quanto piuttosto sull’effettiva capacità di queste di eludere o anche solo rallentare le investigazioni e le ricerche dell’Autorità Giudiziaria. Sul punto, si richiama un orientamento oramai sedimentato della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 53593 del 2014 ha chiarito come “… l’aiuto prestato al favorito per eludere le investigazioni e sottrarsi alla ricerche dell’autorità può manifestarsi con modi e mezzi diversi, purché oggettivamente idonei al raggiungimento dello scopo …”. Concludendo su tale punto, pertanto, è possibile rilevare come l’interpretazione maggioritaria ritenga fondamentale valutare solo l’effettiva capacità oggettiva della condotta di ledere il bene protetto dal delitto di cui all’art. 378 c.p..

Svolta tale analisi, è necessario ora interrogarsi sull’effettivo obbligo di refertazione sussistente in capo al sig. Tizio in quanto medico operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica. La disciplina è ricavabile da un’analisi organica delle norme presenti nel Codice Penale e nel Codice di Procedura Penale. Analizzando il primo, è possibile rinvenire l’art. 365 c.p. il quale prevede l’irrogazione della pena della multa fino a euro 516 per colui che, nello svolgimento della sua professione sanitaria, ometta o ritardi di riferire all’autorità casi che presentino le caratteristiche di delitti procedibili d’ufficio. Il medesimo articolo pone un limite all’applicabilità di tale reato, precisando al comma 2 che la punibilità è esclusa nel caso in cui il referto, definito dall’art. 334 c.p.p. come la comunicazione con cui devono essere indicate all’Autorità Giudiziaria le generalità del paziente e le circostanze utili alla valutazione di un’eventuale indagine, esporrebbe la persona curata a procedimento penale. Tale comma svolge un ruolo fondamentale di bilanciamento dei diritti della persona e del ruolo istituzionale e sociale del medico, garantendo a chiunque la possibilità di accedere alle cure e, contemporaneamente, salvaguardando il segreto professionale del medico e la sua essenziale funzione sociale. Di conseguenza, sintetizzando, l’obbligo di referto, sussiste solo nel caso in cui le caratteristiche del caso del paziente permettano di ricondurle ad un delitto procedibile d’ufficio e, inoltre, unicamente nell’ipotesi in cui tale comunicazione non esponga il paziente a un procedimento penale.

Conclusa tale analisi preliminare, appare di immediata comprensione come il sig. Tizio non ha in alcun modo posto in essere azioni di aiuto all’elusione delle indagini e ricerche da parte dell’Autorità Giudiziaria. Difatti, gli elementi fattuali restituiscono un quadro ben diverso da quello rappresentato dal GIP: il sig. Tizio si è limitato a prestare le proprie competenze mediche a un paziente che, indipendentemente dalle sue caratteristiche personali, necessitava di cure. Sul punto è importante rilevare come per il medico sussista l’obbligo di apportare le cure a chiunque ne necessiti, senza dare rilevanza allo stile di vita o a altre caratteristiche dello stesso. Pertanto, il semplice svolgimento di tale attività medica non può in alcun modo essere definita di favoreggiamento dell’attività di elusione del paziente. Inoltre, si rileva come la mancanza di refertazione non possa essere ritenuta elemento di sostegno all’accusa mossa al mio assistito. Difatti, l’obbligo di refertazione sussiste solo nei casi in cui il paziente e le eventuali cure appaiono come derivanti da fatti aventi caratteri di delitti procedibili d’ufficio e, nel caso di specie, non vi sono elementi per sostenere che il paziente si sia rivolto al medico a seguito di ferite o lesioni susseguenti al compimento di tali delitti. Inoltre, va rilevato come, anche nell’ipotesi che si possano ritenere sussistenti tali caratteristiche, l’art. 365 co. 2 c.p. trova piena applicazione nel caso di specie poiché, a seguito di referto, il paziente sarebbe stato sicuramente sottoposto a procedimento penale. A supporto di tale tesi difensiva, si riporta anche una pronuncia della Corte di Cassazione, con la quale, in un caso simile, la stessa ha sancito che “… non configura il reato di favoreggiamento personale la condotta del medico che, chiamato ad assistere un latitante, si limiti a fare la diagnosi della malattia e a indicare la relativa terapia, senza porre in essere condotte aggiuntive di altra natura …” (cass. 26910/2005). Pertanto, in conclusione, appare nuovamente fondamentale riportare come Tizio si sia limitato a prestare la propria attività medica a un paziente, senza apportare alcuna condotta aggiuntiva idonea ad eludere le indagini, dato che l’obbligo di refertazione non sussisteva né per la casistica a lui sottoposta, né in ossequio all’art. 365 co. 2 c.p., e come, di conseguenza, non sussistano i gravi indizi di colpevolezza previsti dall’art. 273 c.p.p..

  1. INSUSSISTENZA DELLE ESIGENZE CAUTELARI DI CUI ALL’ART. 274 C.P.P. (eventuale)

Nella denegata ipotesi in cui non venga accolto il primo motivo, e nonostante il GIP non abbia effettivamente motivato quali esigenze cautelari risultano sussistenti in capo a Tizio tali da giustificare l’applicazione della gravosa custodia cautelare, si ritiene opportuno specificare come agli atti non si rivedano elementi utili al fine di ritenere esistente nessuna delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p.. L’indagato è un medico specializzato in ortopedia che svolge la sua attività in un ospedale pubblico di Napoli, privo di precedenti penali e che dalle indagini non risulta avere alcun collegamento, affiliazione e anche solo contatto con la criminalità organizzata. Di conseguenza, stante anche l’incarto processuale, non si intravede alcun pericolo di fuga dato che l’indagato svolge un’attività medica di prestigio e risulta impossibile che abbandonerebbe la sua vita e la sua professione per aver semplicemente curato un paziente, peraltro in assolvimento dei suoi obblighi deontologici e giuridici. Parimenti, non si intravede nessun rischio di inquinamento probatorio, dato che non vi sono effettive prove che risultino ancora in disponibilità o in potere di distruzione e alterazione da parte dell’indagato. Infine, il pericolo di reiterazione del reato appare anch’esso assolutamente inesistente dato che, nei fatti, non sono rinvenibili circostanze che lascino supporre la possibilità che Tizio commetta ulteriori delitti come previsti dall’articolo in parola. Sul punto, nuovamente, vale la pena precisare che lo stesso si è semplicemente limitato a svolgere una visita medica a un paziente.

Pertanto, alla luce di quanto esposto, non risultano sussistenti esigenze cautelari tali da giustificare l’applicazione di alcuna misura cautelare.

  1. VIOLAZIONE DELL’ART. 275 CO. 3 – RITENUTA INIDONEITÀ DELL’EXTREMA RATIO DELLA CUSTODIA CAUTELARE

In estremo subordine, è necessario rilevare come il GIP abbia applicato la custodia cautelare senza interrogarsi sulla possibilità che tale misura risultasse eccessiva e non proporzionata al fatto concretamente commesso. Difatti, la custodia cautelare, in ossequio al dettato normativo, deve essere utilizzata come ultima possibilità di soddisfacimento delle esigenze cautelari e, inoltre, applicata solo nel caso in cui le altre misure non siano ritenute sufficienti neanche se applicate cumulativamente. Nel caso di specie, appare chiaro che la scelta del Giudice è risultata eccessiva oltre che gravemente afflittiva per Tizio il quale, per il semplice svolgimento di una visita, si troverebbe nella condizione di subire un danno di rilevante gravità alla sua vita professionale e personale. Al contrario, nell’ipotesi in cui si ritengano sussistenti i requisiti di applicazione, una misura di minor gravità come l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, permetterebbe l’eguale soddisfacimento delle esigenze cautelari, garantendo la possibilità di controllare l’indagato senza, al contempo, incidere in modo gravoso sulla sua esistenza.

In conclusione, alla luce dei motivi sopra esposti, il sottoscritto difensore

CHIEDE

  • In via principale, l’annullamento dell’ordinanza impugnata per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p, oltre che per l’insussistenza delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p.;
  • In via subordinata, la riforma del provvedimento impugnato, con l’applicazione della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ex art. 282 c.p.p..

Data, luogo

Firma Avv.