Traccia Atto Civile – Esame Avvocato 2017

Beta è una associazione non riconosciuta che ha per scopo la diffusione della cultura letteraria. Nel settembre del 2015 l’associato Tizio, agendo in nome dell’associazione, conclude con la società Epsilon un contratto per la consegna, presso le abitazioni del comune di Alfa, di brochure pubblicizzanti una rappresentazione teatrale prevista per il successivo mese di dicembre. Il contratto prevede che l’attività di consegna venga svolta entro la fine del mese di ottobre.

Eseguita regolarmente la prestazione a suo carico nei termini pattuiti, la società Epsilon invia all’associazione Beta, a settembre 2016, la fattura per l’importo concordato di euro 8.000. Non avendo però ottenuto il pagamento del dovuto, nel luglio del 2017 la predetta società, preferendo non rivolgere istanze giudiziarie contro l’associazione, notifica a Tizio un atto di citazione per l’udienza del 25 gennaio 2018, chiedendo la condanna del convenuto alla corresponsione della somma indicata nella predetta fattura.

Ricevuta la notificazione dell’atto di citazione, Tizio, che fino a quel momento non ha ricevuto alcuna richiesta stragiudiziale di pagamento della predetta somma, si reca dal suo legale di fiducia intenzionato a difendersi dalle avverse pretese.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto giudiziario ritenuto più utile alla difesa del proprio assistito, facendo valere le opportune ragioni in punto di rito e di merito.

Soluzione proposta

Beta è una associazione non riconosciuta che ha per scopo la diffusione della cultura letteraria. Nel settembre del 2015, l’associato Tizio, agendo in nome dell’associazione, conclude con la società Epsilon un contratto per la consegna, presso l’abitazione del Comune di Alfa, di brochure pubblicizzanti una rappresentazione teatrale prevista per il successivo mese di dicembre. Il contratto prevede che l’attività di consegna venga svolta entro la fine del mese di ottobre.

Eseguita regolarmente la prestazione a suo carico nei termini pattuiti, la società Epsilon invia all’associazione Beta, a settembre 2016, la fattura per l’importo concordato di euro 8.000,00. Non avendo, però ottenuto il pagamento del dovuto, nel luglio del 2017 la predetta società, preferendo non rivolgere istanze giudiziarie, contro l’associazione, notifica a Tizio un atto di citazione per l’udienza del 25.01.2018, chiedendo la condanna del convenuto alla corresponsione della somma indicata nella predetta fattura. Ricevuta la notificazione dell’atto di citazione, Tizio, che fino a quel momento non ha ricevuto alcuna richiesta stragiudiziale di pagamento della predetta somma, si reca dal suo legale di fiducia intenzionato a difendersi dalle avverse pretese. Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto giudiziario ritenuto più utile alla difesa del proprio assistito, facendo valere le opportune ragioni in punto di rito e di merito.

TRIBUNALE CIVILE DI ______

Nel procedimento R.G. n. ___ – G.I. _________ – promosso con atto di citazione notificato al sig. Tizio in data ____

da

EPSILON – attrice

con l’Avv. _____

contro

TIZIO –  convenuto

*  *  *

Si costituisce nel presente procedimento il sig. Tizio, nato a ____, il ____, C.F. ______ e residente in ___, via ___, n.__ – rappresentato e difeso, come da procura alle liti in calce al presente atto – dall’Avv. _________ (C.F. _______) del Foro di _____ e con domicilio eletto presso lo studio professionale dello stesso sito in __________, via _______ n. ___, il quale dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni e le notificazioni della presente procedura al n. di fax _______ ovvero all’indirizzo PEC comunicato al proprio Ordine _____________________

*  *  *

Il sottoscritto procuratore, nell’interesse del sig. Tizio, deposita e scambia la seguente

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

Premesso in fatto che:

  • con atto di citazione ritualmente notificato all’odierno convenuto in data ____, la società Epsilon, in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio avanti il Tribunale di ____ il sig. Tizio al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: “____”.
  • L’attrice chiedeva infatti la condanna del convenuto al pagamento della fattura di € 8.000,00 emessa nei confronti dell’associazione non riconosciuta Beta per la fornitura di alcune brochures pubblicizzanti una rappresentazione teatrale dalla stessa organizzata, in virtù del contratto sottoscritto da Tizio in nome dell’associazione nel settembre 2015;
  • La società Epsilon infatti, dopo aver eseguito regolarmente la prestazione a suo carico nei termini pattuiti (entro ottobre 2015) ed aver inviato nel settembre 2016 la relativa fattura all’associazione Beta, non ricevendo da quest’ultima il pagamento della suddetta fattura, preferiva procedere giudizialmente nei confronti dell’associato in virtù del disposto di cui all’art. 38 c.c.;
  • Valga dare conto del fatto che sino alla notifica dell’atto di citazione Tizio mai aveva ricevuto alcuna richiesta stragiudiziale di pagamento della predetta somma.

Ciò premesso, la scrivente difesa contesta fermamente tutte ed ognuna delle domande così come avanzate da parte attrice per tutti i motivi che di seguito si andranno ad evidenziare in

DIRITTO

Sull’improcedibilità della domanda per mancato esperimento della condizione di procedibilità di cui all’art. 3 d.l. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014.

Va preliminarmente eccepita l’improcedibilità della domanda giudiziale ex adverso proposta in quanto controparte, proponendo in giudizio una domanda concernente il pagamento di una somma di denaro non superiore ad euro cinquantamila, avrebbe dovuto preliminarmente esperire il procedimento di negoziazione assistita, ai sensi dell’art. 3, d.l. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014. Non avendo quindi parte attrice previamente attivato tale meccanismo di risoluzione alternativa della controversia, la domanda proposta nel presente giudizio dovrà senza dubbio essere dichiarata improcedibile.

Sulla decadenza ai sensi dell’art. 1957 c.c.

Controparte ha errato nel convenire Tizio in luogo dell’Associazione, la quale, deve essere considerata la debitrice esclusiva o principale del preteso diritto di credito.

Quest’ultima infatti, ha anzitutto ratificato l’operato di Tizio, appropriandosi della prestazione fornita in suo favore, sanando così ogni eventuale difetto di potere di rappresentanza.

Inoltre, Beta è colpevole di aver ingenerato nella società Epsilon, con la propria condotta, il legittimo affidamento che Tizio stesse agendo con i poteri rappresentativi di cui in realtà era sprovvisto, risultando vincolata al contratto in quanto rappresentata apparente.

Sul punto, la scrivente difesa intende porre all’attenzione dell’Ill.mo Giudice che Tizio, non godendo di poteri rappresentativi nei confronti di Beta, avrebbe semmai assunto l’obbligazione oggetto della presente causa ai sensi dell’art. 38, comma 2, c.c., il quale, come noto, sancisce la responsabilità personale e solidale di chiunque abbia agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta.

Ciò premesso, va però evidenziato come tale responsabilità sia stata considerata dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, certamente solidale, ma accessoria rispetto a quella dell’associazione, con la conseguente assimilabilità dell’obbligazione sorta in capo al rappresentante dell’associazione a quella assunta dal fideiussore e l’applicabilità dell’art. 1957 c.c., il quale prevede la decadenza dell’avente diritto al proprio credito qualora questo non proponga la domanda entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale (Cass. Civ. 12508/2015, Cass. Civ. 29733/2011, Cass. Civ. 25748/2008).

La sentenza di Cassazione n. 1451/2015  chiarisce che al ricorrere dei seguenti requisiti si origina il fenomeno della rappresenta apparente: di una situazione di fatto difforme da quella di diritto, della sussistenza della buona fede del terzo che abbia stipulato con il falso rappresentante, nonché della sussistenza di un comportamento colposo del rappresentato idoneo ad ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente.

Il principio dell’apparenza del diritto nella sua declinazione di apparenza colpevole “trova applicazione anche nei confronti delle associazioni non riconosciute al fine di rendere le stesse obbligate in via principale, ai sensi dell’art. 38 c.c., per l’attività posta in essere da soggetto privo dei poteri rappresentativi dell’associazione stessa” ( Cassazione n. 1451/2015).

Ebbene, secondo la scrivente difesa tali elementi sono indubbiamente presenti nel caso di specie: in primis appare rilevante evidenziare come l’oggetto del contratto, consistente nella consegna di volantini pubblicizzanti una rappresentazione teatrale, non potesse essere certamente riferibile a Tizio, soprattutto in considerazione dello scopo di diffusione della cultura letteraria proprio dell’associazione stessa. Secondariamente, va sottolineato come Beta si sia avvantaggiata dell’attività svolta da Tizio in nome dell’associazione stessa, il quale, vista la ristrettezza dei tempi correnti utili ai fini della pubblicizzazione dell’evento (solo un paio di mesi), si è attivato con estrema prontezza, garantendo di fatto a Beta un’adeguata diffusione pubblicitaria dell’evento promosso da quest’ultima. Non meno rilevante appare inoltre la circostanza secondo cui mai, e neppure dopo quasi un anno dal ricevimento della fattura, l’associazione Beta abbia sollevato eccezioni o contestato tale fornitura, palesando la mancanza di poteri rappresentativi in capo a Tizio.

Infine, trattandosi Beta di associazione non riconosciuta e non essendo quindi sottoposta ad alcuna forma di pubblicità legale, appare di evidenza lapalissiana altresì la buona fede del terzo, al quale era evidentemente impossibile verificare i poteri rappresentativi della controparte, non potendo pertanto che basarsi sull’apparenza di trovarsi di fronte ad una persona legittimata ad impegnare l’associazione attraverso la stipulazione di un contratto da cui derivavano valide obbligazioni.

Alla luce di tutto quanto sopra dedotto, non vi è chi non veda come la pretesa della società Epsilon sia da rigettarsi nel merito in virtù anzitutto della ratifica dell’operato di Tizio da parte di Beta, che rende l’Associazione obbligata esclusiva. Tutt’al più Beta sarà obbligata in via principale quale rappresentata apparente.

Qualora Tizio sia ritenuto obbligato ex art. 38 co. 2 in via accessoria, egli nulla dovrà in virtù della intervenuta decadenza ex art. 1957 c.c. per non aver il creditore diligentemente coltivato nel termine semestrale alcuna azione nei confronti dell’associato, la cui posizione è – come detto – analoga a quella del fideiussore.

Tutto ciò premesso, il sig. Tizio come sopra rappresentato, difeso e domiciliato rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis:

In via pregiudiziale: accertare e dichiarare l’improcedibilità della domanda ex adverso proposta per mancato previo esperimento della condizione di procedibilità prevista dall’art. 3 d.l. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014.

– Nel merito: salvo ed impregiudicato ogni altro diritto e miglior pronuncia, rigettare in quanto inammissibili, infondate in fatto e in diritto, o comunque non provate, tutte le domande ex adverso proposte in virtù di quanto esposto in narrativa.

In ogni caso, con vittoria di competenze professionali e spese di lite, oltre rimborso forfettario 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Si producono i seguenti atti e documenti:

  • copia notificata dell’atto di citazione.

Con riserva di ogni ulteriore deduzione, produzione e migliore istanza istruttoria nei termini di legge.

DICHIARAZIONE DI VALORE DELLA CAUSA

Ai sensi e per gli effetti del d.p.r. n. 115/2002, si dichiara che non è stata proposta domanda riconvenzionale, né è stata formulata chiamata in causa di terzi e che il valore della presente causa rimane, dunque, immutato.

Con osservanza.

Luogo, data

Avv. ______ (firma dell’avvocato)

 

PROCURA ALLE LITI

Il sottoscritto Sig. Tizio, nato a ____________ il ____________ e residente in ____________ alla via____________ n. __ (C.F.:____________), delega l’Avv. _____________ del Foro di ____________ (C.F. ____________________) a rappresentarlo e difenderlo in ogni stato e grado del presente giudizio, ivi compresa la fase dell’esecuzione.

A tal fine conferisce al predetto legale ogni e più ampia facoltà di legge, ivi comprese, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, quelle di conciliare, transigere, quietanzare, incassare somme, chiamare terzi in giudizio, svolgere riconvenzioni, nominare sostituti e indicare domiciliatari.

Elegge domicilio in _____________ via ___________________ n. __, presso e nello studio del suddetto avvocato.

Dichiara, ai sensi e per gli effetti del d.lgs. n. 196/2003 e s.m.i., di essere stato informato che i suoi dati personali, anche sensibili, verranno utilizzati in conformità al predetto decreto e limitatamente alle finalità connesse all’esecuzione del mandato, autorizzando sin d’ora il loro trattamento.

Dichiara di essere stato informato, ai sensi dell’art. 4, 3° comma, del d.lgs. n. 28/2010, della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, nonché dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Dichiara di essere stato informato, ai sensi dell’art. 2, 7° comma, d.l. n. 132/2014, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati, di cui agli artt. 2 e ss. del suddetto decreto legge.

Dichiara, infine, di essere stato edotto circa il grado di complessità dell’incarico che con la presente conferisce e circa tutti gli oneri ipotizzabili dal momento del suo conferimento sino alla conclusione.

La presente procura alle liti è da intendersi apposta in calce all’atto, anche ai sensi dell’art. 18, comma 5, d.m. Giustizia n. 44/2011, così come sostituito dal d.m. Giustizia n. 48/2013.

Luogo, data

Sig. Tizio (firma)

È vera e autentica

Avv.________________(firma)

Traccia Atto Penale – Esame Avvocato 2017

All’uscita di una discoteca Tizio, già condannato con sentenze irrevocabili per i delitti di rapina aggravata commessa nel 2009 e di furto commesso nel 2015, urta involontariamente Caio che, per tutta risposta reagisce colpendolo al viso. Ne nasce tra i due una violenta colluttazione nel corso della quale Tizio, afferrato all’improvviso un tubo di ferro rinvenuto casualmente a terra, colpisce Caio più volte alla testa. Caio si accascia a terra privo di sensi, cominciando a perdere molto sangue, mentre Tizio si allontana per andarsi a sedere poco più in là.

Trasportati entrambi al più vicino nosocomio, mentre a Tizio vengono diagnosticate plurime ecchimosi, a Caio vengono diagnosticate, oltre a plurime ecchimosi, anche una ferita lacero contusa alla regione temporale sinistra nonché la frattura dell’avambraccio destro e del setto nasale, con prognosi riservata.

Sottoposto a procedimento penale, Tizio viene condannato per il delitto di tentato omicidio, con recidiva specifica reiterata infraquinquennale, alla pena di anni 15 di reclusione, così ottenuta: pena base anni 9, aumentata di anni 6 per la recidiva.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto di appello avverso la citata sentenza di condanna.

Premessa

Il caso pare tratto da una sentenza di merito del Tribunale di Roma del 9 febbraio 2016 n. 1818 che nei suoi tratti essenziali pare prestarsi più favorevolmente per una traccia di un parere piuttosto che di un atto. La soluzione che è di seguito proposta è quindi, come negli altri casi, una soluzione indicativa.

Ad ogni modo, si ritiene che nel caso di specie sarebbe stato possibile affrontare l’elaborato anche offrendo una risoluzione meno complessa e completa rispetto a quella di seguito suggerita.

Soluzione proposta

CORTE D’APPELLO DI …

ATTO D’APPELLO

Il sottoscritto avv. … del Foro di … con studio legale in …, difensore di fiducia, giusta nomina in atti, del signor

TIZIO

nato a …, il …, imputato nel procedimento penale rubricato al n. … R.G.N.R. Procura della Repubblica presso il Tribunale di …………… e n. … RG Tribunale, per il delitto di cui agli artt. 56 e 575 c.p., con l’aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, con il presente atto propone

 

APPELLO

avverso la sentenza n. … emessa in data … dal Tribunale di …, motivazioni riservate per giorni …, depositata in data …, con la quale l’imputato veniva condannato per il delitto contestato alla pena di anni 15 di reclusione, determinata ritenendo equa la pena base di anni 9 di reclusione, aumentata di anni 6 per la contestata recidiva, per i seguenti

 

MOTIVI

Fatto.

La sentenza appellata condannava l’imputato per il delitto di tentato omicidio, ritenendo di ravvisare in capo a Tizio la volontà di uccidere la persona offesa, Caio.

A parere della difesa, invece, i fatti, così come ricostruiti attraverso l’istruttoria dibattimentale, impongono di accedere a ben diversa conclusione.

Invero è emerso che una sera, all’uscita da una discoteca, Tizio urtava involontariamente Caio il quale reagiva violentemente e colpiva Tizio al volto. Ne nasceva una violenta colluttazione tra i due, durante la quale Tizio raccoglieva un tubo di ferro trovato casualmente nei pressi e colpiva Caio più volte alla testa.

Caio quindi perdeva i sensi e cadeva a terra, iniziando a perdere molto sangue. Tizio, per contro, si allontanava e si sedeva poco distante.

Chiamati i soccorsi e trasportati i due all’ospedale, a Tizio venivano diagnosticate alcune ecchimosi. A Caio, invece, oltre ad alcune ecchimosi, veniva diagnosticata una ferita lacerocontusa alla regione temporale sinistra nonché la frattura dell’avambraccio destro e del setto nasale, con prognosi riservata.

 

Diritto.

  1. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato; mancata riqualificazione del fatto nel delitto di cui all’art. 583 c.p..

La sentenza appellata è erronea nella parte in cui ritiene di qualificare la condotta di Tizio come tentato omicidio anziché come lesioni gravi di cui all’art. 583, comma 1, c.p..

Per comprendere appieno il vizio che si ravvisa nella sentenza appellata è opportuno soffermarsi sull’elemento soggettivo che sostiene le due fattispecie di delitto citate.
Il reato di omicidio ex art. 575 c.p., delitto comune di evento a forma libera, punisce chiunque cagiona la morte di un essere umano vivente e vitale e richiede come elemento soggettivo il dolo, ossia la coscienza e volontà di togliere la vita alla persona offesa. Rientrano nella previsione dell’art. 575 c.p. le condotte omicidiarie poste in essere con coscienza e volontà di realizzare l’evento, qualsiasi sia il grado di volizione dell’evento stesso.

Ebbene, se da un lato non vi è dubbio sulla compatibilità tra dolo eventuale e omicidio compiuto, non altrettanto certa è la soluzione quando trattasi, come nel caso che ci occupa, di tentativo di omicidio.

La struttura del dolo eventuale, infatti, appare incompatibile con quella del tentativo di omicidio, come sostenuto in mono unanime dalla recente giurisprudenza (Cfr, ex multis, Cass. Pen., n. 14342/2012).

In conseguenza di ciò, l’agente che aggredisce un essere umano, senza ucciderlo, potrà essere ritenuto responsabile del delitto di tentato omicidio solo se è ravvisabile la volontà diretta di arrecare la morte. Viceversa potrà essere contestato solo il delitto di lesioni personali.

Quest’ultima fattispecie, prevista dall’articolo 582 c.p. nella forma base, e dall’art. 583 c.p., nella forma aggravata, a seconda dell’intensità della lesione del bene giuridico tutelato, è un delitto di evento a forma libera, che punisce chiunque cagiona una lesione alla persona offesa da cui deriva una malattia. L’elemento soggettivo è il dolo generico, in tutte le forme sopra richiamate, ivi compreso il dolo eventuale.

Nel caso che ci occupa, appare evidente che Tizio non ha agito con l’intento di uccidere Caio e non essendosi quindi verificato l’evento morte, non può essergli attribuita la responsabilità per il delitto di tentato omicidio.

Si rammenti che la prima azione aggressiva è stata posta in essere da Caio, il quale per essere stato urtato inavvertitamente all’uscita dalla discoteca da Tizio, lo ha colpito al volto. Solo in un secondo momento, nel corso della colluttazione Tizio ha afferrato il tubo e ha colpito Caio.

In quest’azione, del tutto improvvisata e ideata nella foga dell’aggressione subita, non si ravvisano gli elementi dell’intentio necari, apparendo invece evidente che Tizio intendeva solo difendersi dai colpi di Caio e avere la meglio sul proprio aggressore.

Tant’è vero che dopo pochi colpi, appena resosi conto che Caio aveva subito delle lesioni, Tizio si ferma e si mette in disparte poco lontano.

Se la sua intenzione fosse stata quella di uccidere Caio, Tizio avrebbe continuato ad infierire sulla persona offesa.

Alla luce di queste argomentazioni, la difesa ritiene che la sentenza appellata sia errata, dacché deve escludersi la responsabilità di Tizio per il delitto di tentato omicidio, essendo esso incompatibile con il dolo eventuale. Il comportamento dell’imputato dev’essere invece ricondotto al delitto di lesioni personali aggravate, di cui all’art. 583 c.p., essendo le lesioni riportate da Caio superiori a 40 giorni, vista la prognosi riservata.

Questa conclusione è peraltro conforme alla più recente giurisprudenza, secondo la quale “L’ipotesi del tentativo è compatibile con quella particolare forma di dolo diretto che è il dolo alternativo, mentre non è compatibile con il dolo eventuale, in quanto quest’ultima ipotesi è ontologicamente incompatibile con la direzione univoca degli atti compiuti nel tentativo, che presuppone il dolo diretto” (Cass. Pen., Sez. V, n. 14554/2014).

Per tutte queste ragioni, la sentenza appellata dev’essere riformata e previa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 583, comma 1, c.p., dev’essere rideterminata la pena in senso meno afflittivo.

 

  1. Erronea applicazione della norma di cui all’art. 99, comma 4 e 5, c.p.; mancata disapplicazione della contestata recidiva.

In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui il primo motivo di doglianza non sia accolto, la difesa ritiene che il Tribunale di prime cure abbia errato laddove ha qualificato la recidiva contestata all’imputato come specifica e non abbia ritenuto di disapplicare l’aggravante in argomento.

Invero, plurime argomentazioni possono condurre a una valutazione più favorevole nei confronti dell’odierno imputato.

Più precisamente, le sentenze irrevocabili già pronunciate contro Tizio riguardano i delitti di rapina e di furto; trattasi evidentemente di delitti contro il patrimonio che non possono ritenersi della stessa indole del fatto contestato all’imputato nell’odierno procedimento.

Peraltro ad abundantiam, si noti come (nel silenzio dei dati fattuali offerti dalla traccia) la condanna per rapina, sebbene abbia un connotato di violenza nei confronti della persona, è riferibile ad un fatto risalente al 2009. L’elemento temporale evidenzia come l’imputato non abbia quindi posto in essere condotte caratterizzate da aggressione fisica volontaria alle persone per un periodo considerevole.

In relazione, invece, alla sentenza più recente (che riguarda un episodio di furto commesso nel 2015), è appena il caso di evidenziare come trattasi di un’ipotesi di furto semplice e quindi di fatto scevro da qualsivoglia connotato violento.

Ciò detto, alla luce delle sole considerazioni sin qui esposte, pare già indubbio che il Giudice di prime cure avrebbe dovuto disapplicare l’aggravante oggetto qui di attenzione nella forma reiterata infraquinquennale. Infatti, l’aumento per la recidiva rientra nella discrezionalità del giudice, valutato il singolo caso concreto, così come sancito anche dalla recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 185/2015 (“è costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di ragionevolezza e del principio di proporzionalità della pena, l’art. 99, comma 5, c.p., come sostituito dall’art. 4 l. 5 dicembre 2005, n. 251, limitatamente alle parole -è obbligatorio e-”).

Come se non bastasse, a parere della difesa, il giudice di primo grado avrebbe dovuto escludere la contestata aggravante dal momento che il nuovo delitto commesso da Tizio e la condotta concretamente da lui posta in essere non dimostra una aumentata capacità criminale del soggetto agente. Nel caso di specie, Tizio ha posto in essere delle lesioni personali all’uscita da una discoteca, come reazione violenta ad un’ingiusta aggressione da parte della persona offesa: tale fatto dimostra inequivocabilmente una totale mancanza di elaborazione criminosa.

Peraltro, giova rammentare come in dibattimento sia stato accertato che la colluttazione è stata iniziata da Caio, il quale per primo ha aggredito al volto l’odierno imputato. Questi dopo aver reagito, non appena Caio ha diminuito la propria forza aggressiva, non solo ha arrestato la propria condotta ma è pure rimasto sul luogo del fatto mettendosi a disposizione dell’Autorità.

Per tutte tali ragioni, la sentenza appellata dev’essere riformata e, previa disapplicazione della recidiva contestata, rideterminata la pena in senso più favorevole.

 

  1. In ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62, n. 2, c.p. e 62 bis c.p., e al conseguente mancato riconoscimento dell’equivalenza tra circostanze.

Ulteriore emotivo di doglianza rispetto alla sentenza appellata riguarda il mancato riconoscimento all’imputato della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 2 c.p..

Tale circostanza, interessa quella particolare ipotesi attenuata relativa ai casi di provocazione, ovvero per aver reagito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui.

Invero, la configurazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 2, c.p. richiede il concorso di tre elementi: il primo, soggettivo, consiste nello stato d’ira, cioè in una situazione caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi. Il secondo, oggettivo, è costituito dal fatto ingiusto altrui (che induce lo stato d’ira) per il quale si intende non solo un comportamento antigiuridico in senso stretto, bensì anche l’inosservanza di norme sociali o di costume, ossia di quelle che regolano l’ordinaria, civile convivenza. Si richiede inoltre l’esistenza di un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse (Cfr. Cass. Pen., n. 12558/2004).

Dagli elementi di fatto conosciuti risulta evidente come sussistano tutti i requisiti (oggettivi e soggettivi) sopra indicati e come la condotta di Tizio sia stata solo una mera reazione rispetto all’aggressione provocatoria e violenta posta in essere da Caio.

Se è vero, infatti, che l’imputato avrebbe potuto semplicemente allontanarsi e non raccogliere la provocazione, è pur vero che l’aggressione di Caio è stata del tutto ingiustificata, posto che Tizio l’aveva solo urtato all’uscita dalla discoteca.

Ad ulteriora, il Tribunale di primo grado avrebbe dovuto altresì concedere all’imputato le attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p..

In particolare, rileva il comportamento dell’imputato precedente e successivo al fatto. È stato ampiamente ripetuto come Tizio non abbia dato origine alla colluttazione da cui è scaturito la lite. Altresì dopo l’alterco, Tizio non è fuggito, ma è rimasto sul posto e si è messo a disposizione delle Autorità.

Non vi sono peraltro elementi per dedurre che l’imputato abbia tenuto una condotta processuale non corretta, irrispettosa, o comunque ostativa ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

È doveroso sottolineare che, qualora la Corte d’appello adita ritenga di non accogliere il precedente motivo di doglianza in punto di disapplicazione della recidiva, le invocate circostanze attenuanti (artt. 62, n. 2 e 62 bis c.p.) di cui al presente motivo di gravame, dovranno essere concesse e valutate nel giudizio di bilanciamento in regime di equivalenza con la contestata aggravante (art. 99 c.p.), con conseguente rideterminazione della pena in senso meno afflittivo.

 

  1. Con riferimento all’eccessività della pena base ritenuta equa nel caso de quo; erronea applicazione dell’art. 133 c.p..

In ogni caso, sia laddove siano accolti i precedenti motivi esposti, e sia nella denegata ipotesi in codesta Ecc.ma Corte territoriale non li condivida, la difesa ritiene che la sentenza appellata sia da riformarsi in punto di quantificazione della pena base.

Come noto, il delitto di omicidio tentato p. e p. dagli artt. 56 e 575 c.p. prevede una pena minima di anni 7 di reclusione.

Nel caso di specie, invece, emerge come il Tribunale di primo grado abbia determinato come equa una pena base di anni 9 di reclusione, ben superiore al minimo edittale.

Tutte le motivazioni esposte nei motivi che precedono, riguardanti il contesto in cui è maturata l’azione, la totale mancanza di premeditazione, la condotta aggressiva preliminarmente posta in essere dalla persona offesa Caio contro l’imputato Tizio, impongono a parere della difesa di mantenere la pena irroganda entro i minimi di legge. I parametri suddetti costituiscono indici di valutazione di cui il Giudice di primo grado avrebbe dovuto tenere conto ai sensi dell’art. 133 c.p. per la determinazione della pena equa per il fatto contestato.

Alla luce dei criteri citati, non vi sono ragioni per confermare la sentenza impugnata in punto di quantificazione della pena base evidentemente eccessiva rispetto al minimo edittale.

Per tutte queste ragioni, in ogni caso, la sentenza appellata dev’essere riformata applicando la pena minima di legge.

Alla luce dei motivi su esposti, il sottoscritto difensore

 

CHIEDE

che l’Ecc.ma Corte d’Appello di … voglia, in riforma della sentenza impugna,

1) In principalità, previa riqualificazione del fatto nel meno grave delitto di cui all’art. 583 c.p., rideterminare la pena in senso meno afflittivo;

2) in ogni caso, disapplicare l’aggravante di cui all’art. 99 c.p. e per l’effetto rideterminare la pena in senso meno gravoso;

3) in ogni caso, previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 2 c.p. e delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., eventualmente anche in giudizio di equivalenza con la contestata aggravante di cui all’art. 99 c.p., rideterminare la pena in senso più favorevole all’imputato;

4) in subordine, in ogni caso, anche nella denegata ipotesi di non accoglimento di nessuna delle richieste formulate, rideterminare la pena nei i minimi edittali.

…………………., lì………

Avv. …