La pronuncia in esame appare meritevole di approfondimento in quanto fornisce una ricognizione chiara dei rapporti tra il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter.1 c.p. e il delitto che ne costituisce presupposto (nella specie, trattasi del delitto di cui all’art. 8 D.Lgs 74/2000 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), con precipuo riferimento al tema della sottoposizione a sequestro preventivo, prima, e a confisca, poi, del relativo profitto.

La questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte, infatti, riguarda la legittimità dell’assoggettamento a sequestro preventivo per equivalente di una medesima somma di denaro in base ad un duplice titolo: da un lato, in funzione della confisca per equivalente di cui al combinato disposto degli artt. 8 e 12 bis D.Lgs 74/2000, in relazione al profitto tratto dalla commissione del reato tributario presupposto; dall’altro lato, in funzione della confisca per equivalente di cui al combinato disposto degli artt. 648 ter. 1 e 648 quater c.p., in relazione all’asserito profitto del delitto di autoriciclaggio.

Più nello specifico, atteso che gli indagati avevano provveduto a trasferire, sostituire e impiegare in attività economiche le provviste di denaro rivenienti dalla emissione di fatture per operazioni inesistenti, con modalità atte ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa delle medesime, il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto, nei loro confronti, il suddetto duplice sequestro preventivo per equivalente, il quale, tuttavia, risultava affetto da – almeno – due errori giuridico-concettuali, il primo, rilevato dal Tribunale del riesame, il secondo, disvelato in sede di legittimità.

In primo luogo, quanto al sequestro disposto in funzione della confisca di cui all’art. 12 bis D.Lgs 74/2000 (il quale, in caso di condanna o di applicazione concordata della pena ex artt. 444 ss. c.p.p. per uno dei delitti tributari previsti dal medesimo D.Lgs, prevede l’applicazione della misura di sicurezza obbligatoria della confisca diretta dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato ovvero, quando la stessa non sia possibile, di beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto), il Tribunale del riesame ha correttamente ritenuto di limitare l’ammontare del vincolo reale imposto sui beni degli indagati, osservando come la misura ablativa patrimoniale debba avere ad oggetto unicamente il prezzo o il profitto del reato, effettivamente tratti dai soggetti attivi del reato, senza potersi lasciare spazio ad alcun automatismo nella determinazione degli stessi.

Errata, pertanto, era risultata la valutazione del G.I.P., il quale aveva disposto la confisca di beni rientranti nella disponibilità degli indagati per un valore corrispondente alla somma dei totali degli importi esposti nelle fatture per operazioni inesistenti (e, quindi, corrispondente al valore dell’imponibile + IVA evasa), laddove era stato dimostrato come gli stessi, una volta incamerato l’importo fatturato, restituivano l’imponibile al destinatario, trattenendo unicamente le somme corrispondenti all’IVA non versata. In breve: il profitto effettivamente ottenuto dalla commissione del reato di cui all’art. 8 D.Lgs 74/2000 corrispondeva all’ammontare dell’IVA non versata siccome risultante dalle fatture per operazioni inesistenti emesse dagli indagati.

In secondo luogo, quanto al sequestro disposto in funzione della confisca di cui all’art. 648 quater c.p. (il quale stabilisce che, in caso di condanna o di applicazione concordata della pena ex artt. 444 ss. c.p.p., per i delitti di riciclaggio [art. 648 bis c.p.], impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita [art. 648 ter c.p.] e autoriciclaggio [art. 648 ter.1 c.p.] è sempre disposta la misura di sicurezza della confisca diretta dei beni che costituiscono prodotto o profitto del reato ovvero, quando questa non sia possibile, la confisca c.d. per equivalente in relazione a denaro, beni o utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore, per l’appunto, equivalente, al prodotto o al profitto originati dall’attività delittuosa), pure confermato dal Tribunale del riesame, la Corte di Cassazione ha ritenuto di accogliere parzialmente le doglianze della Difesa, annullando con rinvio l’ordinanza oggetto di impugnazione. Ciò in quanto il Giudice di prima istanza e il Tribunale del riesame, incorrendo in una evidente aporia giuridico-concettuale, avevano erroneamente ritenuto che il profitto del reato di autoriciclaggio fosse coincidente con il profitto del reato presupposto, assoggettando, così, a sequestro la medesima somma di denaro due volte, la prima, quale profitto del reato presupposto, la seconda, quale profitto della condotta di autoriciclaggio.

Tuttavia, come correttamente evidenziato dalla Suprema Corte, se, da un lato, è indubitabile che il delitto di autoriciclaggio si alimenti, in tutto o in parte, con il provento – recte: prezzo o profitto – del delitto presupposto, atteso che la condotta tipizzata all’art. 648 ter.1 c.p. consiste nell’impiego, sostituzione o trasferimento, in attività di carattere lato sensu economico di denaro, beni o utilità provenienti proprio dalla commissione del reato doloso presupposto, dall’altro lato, è altrettanto acquisito come il profitto (o il prodotto) di tale ultimo reato non potrà che essere ontologicamente diverso da quello del reato presupposto, consistendo nel risultato del reimpiego, della sostituzione o del trasferimento dei proventi dell’attività delittuosa pregressa.

Tale conclusione, peraltro, è l’unica coerente con la ratio legis sottesa all’introduzione del delitto di autoriciclaggio, il quale mira a ‘sterilizzare’ il profitto conseguito mediante la commissione del reato presupposto, impedendo al soggetto agente di capitalizzarlo ulteriormente attraverso una delle condotte tipiche sanzionate dall’art. 648 ter.1 c.p., viceversa sancendo la non punibilità della condotta, ai sensi del co. 4 dell’art. cit., per l’ipotesi in cui il denaro, i beni o le altre utilità di provenienza delittuosa non siano reimmesse nel circuito economico, bensì utilizzate per il godimento personale.

Di più, la soluzione fornita dalla Suprema Corte, coerente con il principio di diritto per cui per profitto del reato deve intendersi “qualsiasi utilità o vantaggio, suscettibile di valutazione patrimoniale o economica, che determina un aumento della capacità di arricchimento, godimento ed utilizzazione del patrimonio del soggetto” (Cass. pen., Sez. V, 31.10.2014, n. 20093), si impone, laddove, facendo coincidere il profitto del reato presupposto con quello del delitto di autoriciclaggio, si perverrebbe ad una duplicazione della confisca della stessa somma di denaro, in patente violazione del divieto di bis in idem. In altri termini, aderendo alla – non condivisibile – ermeneusi adottata dal Giudice per le Indagini preliminari e dal Tribunale del riesame si finirebbe con il sanzionare l’agente anche in assenza di un vantaggio economico diretto ed immediato derivante dal delitto di autoriciclaggio, attingendo per due volte il patrimonio del medesimo in relazione ad un profitto che deriva causalmente dal reato presupposto, ma non da quello ulteriore di cui all’art. 648 ter.1 c.p.

Sulla scorta delle considerazioni dianzi esposte, la Suprema Corte ha provveduto così ad enucleare il seguente principio di diritto: “il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall’impiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative”.

Tale conclusione ha, all’evidenza, il pregio di individuare con chiarezza i connotati del profitto del delitto di autoriciclaggio, rilevante ai fini della confisca ex art. 648 quater c.p., lumeggiando come lo stesso, pur mantenendo un collegamento con il profitto del reato presupposto dal quale inevitabilmente trae origine, mantenga una propria autonomia sul piano giuridico e, prima ancora, naturalistico.

 

Avv. Giulia Pittarello Tringanelli