In data 30 aprile 2020 è entrata in vigore la legge n. 27/2020, con la quale il Parlamento ha convertito in legge il D.L. n. 9/2020, pubblicato  in G.U.R.I. il 2 marzo u.s., abrogandolo.

Il citato decreto legge disciplinava, tra gli altri, anche gli aspetti connessi all’impossibilità, per il viaggiatore, di godere del soggiorno acquistato a causa dell’imperversare della pandemia da Coronavirus.

Numerosi infatti sono i cittadini italiani che, prima del diffondersi della pandemia da COVID-19, avevano acquistato un cd. pacchetto turistico o stipulato un contratto di trasporto (aereo, marittimo o ferroviario), per poi vedersi preclusa, a cagione dell’intervento delle misure governative rese in ottica di contenimento del contagio, la possibilità di usufruirne.

Quali, quindi, i rimedi esperibili dal consumatore onde ottenere tutela dei propri diritti nei confronti dell’operatore di viaggio che, suo malgrado e incolpevolmente, non sia in grado di adempiere la propria obbligazione?

Detta problematica, già affrontata mediante la precedente pubblicazione, deve essere nuovamente esaminata alla luce della recente conversione in legge del noto decreto, al fine di chiarire se le considerazioni precedentemente esposte – e che verranno integralmente riportate nel prosieguo, per completezza e comodità del lettore – possano essere ancora ritenute valide.

Tanto premesso, si procederà ora all’analisi testuale della L. 27/2020 e, al fine di facilitare il lettore nel confronto tra la normativa abrogata e quella attualmente vigente, verrà utilizzato il medesimo schema logico-argomentativo impiegato nella redazione del precedente contributo.

  1. La previsione della L. 24 aprile 2020 n. 27 (conversione in legge del D.L. n. 9 del 2 marzo 2020)

In primo luogo sarà bene analizzare le previsioni rese, al riguardo, proprio nell’ambito della conversione delle misure emergenziali emanate per limitare la libertà di circolazione dei cittadini e, in particolare, le disposizioni contenute nella Legge n. 27 del 24 aprile 2020 (conversione in legge, tra gli altri, del Decreto Legge n. 9, datato 2 marzo 2020).

A tal riguardo si precisa che la disciplina del caso di specie si rinviene nell’art. 88-bis della citata legge (la quale recepisce, senza innovare nella sostanza, l’originario art. 28 del D.L. n. 9/2020), rubricato – per l’appunto – “Rimborso titoli di viaggio, di soggiorno e pacchetti turistici”.

Servendosi dell’articolo in esame, il legislatore elenca, al co. 1, tutte le specifiche situazioni relative ai contratti “di trasporto aereo ferroviario, marittimo, nelle acque interne o terrestre, ai contratti di soggiorno e ai contratti di pacchetto turistico stipulati”, rispetto alle quali “Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1463 del codice civile, ricorre la sopravvenuta impossibilità della  prestazione”, ricomprendendo in esse, expressis verbis, tutte le circostanze nelle quali, a cagione della situazione emergenziale dovuta alla pandemia da Coronavirus, il viaggiatore non possa godere della prestazione dell’operatore o quest’ultimo non sia in grado di assicurarne la fruizione. Notiamo che la previsione, come anticipato, rimane invariata nella sostanza, ampliando soltanto il novero dei negozi giuridici contemplati e ricomprendendo nell’ambito della disciplina enunciata anche i “contratti di soggiorno” e i “contratti di pacchetto turistico”.

Tanto precisato, il Parlamento – ricalcando pedissequamente le disposizioni già rese dall’Esecutivo – al sesto comma dell’articolo in parola, ha previsto, richiamando espressamente la disciplina dettata “ai sensi dell’articolo 41 del decreto legislativo 23 maggio 2011,  n.  79 [cd. Codice del Turismo], il diritto di recesso dai contratti di pacchetto turistico da  eseguirsi nei periodi di ricovero, di quarantena con sorveglianza  attiva,  di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva ovvero di durata dell’emergenza epidemiologica da COVID-19   nelle  aree interessate dal contagio come individuate dai decreti adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi  dell’articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n.  6”.

Al capoverso successivo, dopo aver ribadito quanto già previsto dal Codice del Turismo in punto di diritto di recesso bilateralmente concesso nell’ipotesi di sopravvenuta impossibilità della prestazione inimputabile ai contraenti, il Governo, dapprima, e il legislatore, in seguito, sono concordi nel precisare che, in caso di recesso,  “l’organizzatore, in alternativa al rimborso previsto dall’articolo 41,commi 4 e 6, del codice di cui al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, puo’ offrire al  viaggiatore  un pacchetto sostitutivo di qualita’ equivalente o superiore o inferiore con restituzione della differenza di prezzo oppure puo’ procedere al rimborso o, altrimenti, puo’ emettere, anche per il tramite dell’agenzia venditrice, un voucher, da utilizzare entro un anno dalla sua emissione, di importo pari al rimborso spettante”.

Ed ecco che, in questo modo, tanto l’Esecutivo, in origine, tanto il Parlamento, in sede di conversione, rendono entrambi una previsione sulla quale gli interpreti hanno instaurato l’oramai nota battaglia ermeneutica, arroccati sulle proprie contrapposte posizioni.

Tanto considerato, va da sé che da medesime premesse debbano discendere identiche conclusioni, di seguito ribadite.

  • L’interpretazione letterale della L. 27/2020

Coloro che hanno scelto di privilegiare un’esegesi “letterale” hanno ritenuto che il testo dell’articolo in commento riservi all’organizzatore del viaggio la scelta tra le diverse modalità di ristoro del viaggiatore (offerta di un pacchetto alternativo, restituzione del prezzo o emissione di un voucher di valore equivalente).

Non è difficile immaginare – ed è peraltro ciò che nel caso concreto sta accadendo – che l’imprenditore, potendo scegliere, per far fronte alle gravi difficoltà economiche provocate dall’emergenza sanitaria, difficilmente opterà per la restituzione al consumatore del prezzo corrisposto per il servizio – non erogato -, preferendo uno dei rimedi alternativi.

Tuttavia una simile interpretazione si pone in aperta contrapposizione tanto con la normativa nazionale previgente (il citato Codice del Turismo), tanto con quella sovranazionale, frustrando finanche il perseguimento della ratio perseguita a livello comunitario, tesa alla tutela “potenziata” delle ragioni del consumatore.

Ma siamo davvero certi che l’interpretazione letterale della normativa emergenziale testé riportata costituisca un’interpretazione legittima?

  • L’interpretazione sistematica e l’interpretazione conforme

A parere dello scrivente, la L. 27/2020 dovrebbe essere interpretata non come un atto isolato ma, in primis, tenendo in debita considerazione la normativa in vigore e, soprattutto, nel rispetto del diritto sovranazionale. Con riguardo alle norme emergenziali, in altre parole, se ne deve determinare il significato in armonia con il sistema legislativo complessivo e con gli atti normativi dell’Unione Europea.

In primo luogo, va a tal fine segnalato che il citato art. 41 del D.Lgs. n. 79/2011 (Codice del Turismo), recependo fedelmente la direttiva 2008/122/CE – peraltro, come sopra già precisato, richiamato proprio dalla stessa L. 27/2020 – sancisce il diritto del viaggiatore, qualora il viaggio divenga impossibile per causa a quest’ultimo non imputabile, di pretendere dall’organizzatore la restituzione delle somme già corrisposte in esecuzione del contratto, senza che possa essergli imposta l’accettazione di un ristoro alternativo, unilateralmente individuato in modo discrezionale dall’altro contraente.

A conferma di quanto testé sostenuto, si osservi il fatto che nell’ipotesi in cui il legislatore, servendosi delle previsioni emergenziali, abbia inteso discostarsi dalle norme contenute nel Codice del Turismo, l’abbia chiaramente esplicitato. Ciò si evince chiaramente dalla lettura dell’ultimo capoverso del comma sesto dell’articolo in esame, aggiunto in sede di conversione del D.L. n. 9/2020 dal Parlamento, nel quale è previsto che “In deroga all’articolo 41, comma 6, del decreto legislativo 23 maggio 2011,  n. 79, il rimborso e’ corrisposto e il voucher e’ emesso appena ricevuti i rimborsi o i voucher dai singoli fornitori di  servizi  e  comunque non oltre sessanta giorni dalla data prevista di inizio del viaggio”. Ciò finisce inevitabilmente con l’indurre l’interprete a favorire un’esegesi sistematica della normativa in esame, a beneficio del viaggiatore, confutando invece la tesi che ritiene di poter ravvisare in essa un revirement radicale del legislatore emergenziale rispetto alla normativa previgente.

Non solo.

Esaminando la normativa comunitaria emerge con evidenza che la finalità che innerva la materia in esame, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, risiedesse proprio nella creazione di un sistema di tutela rafforzata dei diritti del viaggiatore. Vale la pena ricordare, in quest’ottica, che l’allora Comunità Europea, mediante il ventiduesimo considerando della direttiva n. 314/90/CEE, aveva già vietato agli Stati membri di adottare disposizioni interne più severe a danno del viaggiatore, in materia di viaggi “tutto compreso”, consentendo soltanto l’adozione di quelle che assicurassero a quest’ultimo un grado più elevato di tutela rispetto alla normativa comunitaria. Ulteriore conferma dell’intento del legislatore sovranazionale giunge dalla lettura della littera legis della direttiva 2015/2302/UE, la quale, al capo III, ribadisce, “qualora nel paese di destinazione o nelle immediate vicinanze si siano verificate circostanze eccezionali ed inevitabili che abbiano un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del viaggio”, il diritto del viaggiatore di pretendere dall’organizzatore la restituzione integrale del prezzo. Da ultimo, per confermare volontà degli organi comunitari di creare un sistema di tutela rafforzata del viaggiatore, basti ricordare che la Commissione europea, giusta comunicazione del 18 marzo 2020, nella piena consapevolezza della situazione emergenziale dovuta all’imperversare dell’epidemia da COVID-19, ha precisato che il diritto comunitario riserva al passeggero/consumatore, e a lui soltanto, la scelta tra il rimborso del prezzo o il voucher sostitutivo.

Tanto considerato, è bene ricordare che nel nostro ordinamento, come in tutti gli ordinamenti degli stati membri dell’Unione Europea, vige il canone della “interpretazione conforme” (denominato anche “interpretazione adeguatrice” o “interpretazione concordante”), espressione dell’obbligo di leale collaborazione sancito dall’art. 4 TUE, in ossequio al quale la selezione del significato di una norma avviene nel rispetto del principio di primazia del diritto dell’Unione Europea sul diritto interno. in altre parole, tra i molti significati possibili di una norma nazionale, si deve optare sempre per quello che risponda maggiormente alle finalità perseguite dal diritto europeo, evitando ogni possibile contrasto tra diritto nazionale e sovranazionale.

Con riferimento al caso di specie, infatti, la ragione – prima ancora che l’applicazione pedissequa dei suesposti principi giuridici – consente di affermare che debbano prevalere l’interpretazione sistematica e quella conforme sulla letterale.

È del tutto ragionevole, infatti,  che il legislatore (sulla scorta di quanto già previsto dal Governo), dapprima attraverso l’esplicito riferimento all’art. 41 del Codice del Turismo e infine mediante l’interpretazione del dettato normativo, nel rispetto della finalità – la tutela rafforzata del viaggiatore – perseguita dal legislatore comunitario, abbia inteso riservare a quest’ultimo la scelta in merito alle modalità di rimborso del viaggio divenuto d’impossibile godimento.

Senza contare che la tradizionale disciplina civilistica applicabile al caso di specie, in assenza di una normativa speciale che ne determinasse le conseguenze, giungerebbe alle medesime conclusioni testé esposte: la parte insoddisfatta, qualora la prestazione dell’altra parte fosse divenuta impossibile per causa non imputabile ad alcuna di queste, potrebbe chiedere, ai sensi degli artt. 1463 e ss. c.c., la risoluzione del contratto e la restituzione di quanto già eseguito.

  1. Conclusioni

Tanto argomentato in diritto, a parere dello scrivente la lettura delle norme contenute nella legge di conversione non può che condurre alle medesime conclusioni già rese nell’ambito della precedente disamina.

Da tanto discende che Il giudice nazionale, qualora si trovasse a dover decidere il caso di specie, avrebbe ad oggi il dovere di fornire un’interpretazione dell’art. 88-bis, comma 6, della L. 27/2020 (già art. 28, co. 5, del D.L. 9/2020) conforme al diritto dell’Unione Europea, riconoscendo il diritto al viaggiatore a recedere dal contratto e, nell’ipotesi in cui quest’ultimo avesse chiesto la restituzione delle somme già pagate, pronunciando una sentenza di condanna nei confronti dell’organizzatore del viaggio alla restituzione di tali somme.