La dilagante diffusione del contagio da COVID-19 continua ad imporre nuovi spunti alla riflessione giuridica, per far fronte al bisogno di disciplinare i problemi sorti dal caleidoscopio del caso concreto attraverso la ricerca di soluzioni, efficaci ed eque, nell’applicazione dei tradizionali istituti civilistici.

  • La risoluzione della locazione e la sospensione del pagamento dei canoni

Come oramai noto, il Governo italiano ha adottato, in ottica di contenimento della pandemia, diverse misure limitative delle libertà fondamentali, giungendo anche a sospendere l’esercizio di quelle attività produttive, industriali e commerciali, che non siano considerate necessarie ad assicurare la continuità dei servizi essenziali ai cittadini.

Tuttavia, viene spontaneo domandarsi se il professionista o la società che abbiano stipulato un contratto di locazione relativo ai locali d’esercizio e siano costretti a sospendere la propria attività in ragione dei provvedimenti governativi – non potendo quindi ulteriormente trarre da essa i proventi necessari per adempiere le loro obbligazioni – debbano in ogni caso regolarmente corrispondere i relativi canoni di locazione. Le seguenti considerazioni, pertanto, saranno riferite unicamente ai contratti di locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo, i quali hanno ad oggetto la concessione in godimento di beni destinati ad attività economiche, a norma della Legge 392/1978 (cd. legge sull’equo canone).

In primo luogo occorre esaminare la disciplina generale contenuta nelle disposizioni del Codice Civile in tema di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, la quale si rinviene all’interno degli artt. 1463 e ss. c.c., e indagare in che modo questa possa applicarsi nell’ambito del contratto di locazione, normato invece dagli artt. 1571 e ss. c.c.

Il legislatore ha previsto, con l’art. 1463 c.c., che, “Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”; tanto premesso, si rende necessario individuare quali siano le prestazioni poste in rapporto di corrispettività nel contratto di locazione.

Con riferimento alla figura del locatore, la risposta al quesito emerge dall’analisi del dettato dell’art.1575 c.c., quest’ultimo dovendo “1) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; 2) mantenerla in stato da servire all’uso convenuto; 3) garantirne il pacifico godimento durante la locazione”; spetterà invece al conduttore, a norma dell’art. 1587 c.c., “1) prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze” e “2) dare il corrispettivo nei termini convenuti”.

In relazione al caso in esame, dall’analisi congiunta della disciplina generale, ex artt. 1463 e ss. c.c., e di quella particolare prevista in tema di locazione (ex artt. 1575 e 1587 c.c.), sembrerebbe pertanto che solo qualora il locatore non adempia diligentemente alle suesposte obbligazioni – e, conseguentemente, consegni o mantenga l’immobile locato in condizioni tali da non poter essere utilizzato – il conduttore potrà sospendere il pagamento del canone di locazione.

In ragione dell’eccezionalità della situazione, le tesi invalse in dottrina sul punto sono tra loro dicotomiche e occorrerà esaminarle entrambe, nell’attesa che si formi un orientamento giurisprudenziale certo sul punto.

  • L’interpretazione letterale

La prima corrente di pensiero, cd. letterale, ritiene che non possa essere ascritto al locatore alcun inadempimento e, altresì, che la relativa prestazione non possa divenire impossibile a cagione dell’intervento della Pubblica Autorità.

Ciò in quanto le misure governative che, perseguendo il pubblico interesse, hanno soppresso determinate libertà individuali (il cd. factum principis), si configurerebbero alla stregua di accadimenti estranei alle parti contrattuali e, viepiù, assolutamente inidonei a impedire al conduttore la pacifica disponibilità dell’immobile; nonostante non sia possibile svolgervi all’interno alcuna attività, infatti, quest’ultimo potrà in ogni caso godere dei locali locati.

Per l’effetto, in presenza del corretto adempimento delle proprie obbligazioni da parte del locatore, allo stesso modo il conduttore dovrà adempiere le proprie, corrispondendo al primo, con regolarità, il canone pattuito.

Tanto considerato, qualora l’esecuzione del contratto di locazione dovesse rivelarsi eccessivamente onerosa per il conduttore, quest’ultimo non avrebbe altro rimedio che ricorrere alla tutela fornita dall’art. 1467 c.c., chiedendo la risoluzione del contratto di locazione.

Detto articolo, infatti, prevede che nel caso in cui un evento straordinario e imprevedibile, e perciò non imputabile alle parti – quale, per l’appunto, l’intervento della Pubblica Autorità – dia luogo all’eccessiva onerosità di una delle due prestazioni corrispettive, il relativo obbligato abbia la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto dal quale tali obbligazioni derivino.

La tutela testé esposta, peraltro, è prevista anche dalla citata legge sull’equo canone (L. 392/1978), all’art. 27, ultimo comma, riservando al conduttore la facoltà di recedere dalla locazione commerciale per “gravi motivi”, osservando un preavviso di sei mesi.

Ad una simile interpretazione restrittiva, tuttavia, se ne contrappone una più moderata e maggiormente in linea con l’orientamento giurisprudenziale che ha definitivamente consacrato la teorica della cd. causa in concreto.

  • L’interpretazione semi-soggettiva: la “causa in concreto” nella locazione commerciale

La riflessione giuridica può infatti condurre all’accoglimento di un’interpretazione “dinamica” della questione in esame, più aderente alla definizione della causa contrattuale ad oggi maggiormente accreditata.

Già proposta dalla dottrina alla fine degli anni ’60, la teoria della cd. causa in concreto è stata accolta anche dalla giurisprudenza, a partire dalla sentenza della Suprema Corte n. 10490/2006, definendola quale “funzione economico-individuale” di un dato negozio giuridico.

In questo modo, la causa di un contratto deve essere individuata nel concreto assetto dei contrapposti interessi che, attraverso quel preciso meccanismo negoziale, le parti hanno inteso predisporre, a prescindere dallo stereotipo astratto e tipico: la causa diviene quindi la “sintesi degli interessi reali” ai quali il contratto stesso è teso.

Tale scopo, divenuto elemento necessario ai fini dell’esistenza del contratto stesso, sarebbe in grado di assumere decisiva rilevanza anche in ordine alle sorti della vicenda contrattuale, in ragione di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo svolgimento del rapporto.

Tale riflessione ha portato i giudici della Suprema Corte a scindere la carenza originaria e assoluta della causa, che, a norma degli artt. 1325 e 1418 c.c., comporta la nullità del contratto, dalla cd. mancanza sopravvenuta, che incide sugli effetti  contrattuali, potendo finanche legittimarne la risoluzione per sopravvenuto difetto dell’elemento funzionale, rappresentato dall’interesse delle parti alla prosecuzione del rapporto (ex multis, Cass. n. 16315/2007).

Ed ecco che, con specifico riguardo alla locazione di immobili adibiti ad attività industriali, commerciali e di artigianato, ex L. 392/1978, risulta evidente che l’effettiva possibilità di svolgere dette attività all’interno dell’immobile locato costituisca lo scopo primario del contratto stesso.

Va da sé, quindi, che ove non fosse più possibile utilizzare l’immobile locato per svolgere l’attività per la quale è stata convenuta la locazione stessa, il conduttore non avrebbe la concreta possibilità di godere della prestazione del locatore, la quale, ancorché astrattamente eseguibile, diverrebbe di fatto inutile.

L’impossibilità per il locatore di adempiere tale propria obbligazione consentirebbe pertanto l’applicazione al caso di specie della disciplina di cui agli artt. 1256 e. 1463 c.c., con le implicazioni di seguito esposte.

Sulla base dei citati presupposti, si può ritenere, infatti, che nel caso in cui il conduttore non fosse in grado di utilizzare l’immobile oggetto del contratto di locazione – e tale inutilizzabilità fosse soltanto temporanea – quest’ultimo, a norma del comma secondo dell’art. 1256 c.c., possa resistere alla pretesa del locatore diretta al pagamento dei canoni di locazione. Ciò in quanto, se è pur vero che il capoverso dell’articolo in parola sancisce che qualora l’impossibilità incolpevole della prestazione sia soltanto transitoria, “il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”, tuttavia non si può ritenere che lo stesso possa ugualmente pretendere la relativa controprestazione.

A suffragio della conclusione testé esposta soccorre tanto la logica empirica tanto quella giuridica: è lo stesso art. 1460 c.c., per l’appunto, a prevedere che “nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti [possa] rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie, o non offre di adempiere contemporaneamente la propria”. La ratio sottesa all’istituto, infatti, impone che lo stesso rappresenti una forma di autotutela per la parte, che il legislatore prevede in considerazione della natura sinallagmatica del contratto, in base alla quale ciascuna prestazione trova giustificazione nella prestazione della controparte.

Inoltre – ma tale eventualità si ritiene di più rara applicazione, dato l’interesse reciproco delle parti alla sopravvivenza del negozio locativo – il conduttore, ove venisse a mancare il proprio interesse alla permanente efficacia del contratto stesso, potrebbe chiederne la risoluzione, ai sensi degli artt. 1256, ultimo capoverso, e 1463 c.c.

Nell’ipotesi da ultimo paventata, il locatario potrebbe chiedere anche l’eventuale restituzione dei canoni già corrisposti e riferibili al periodo di vigenza dei provvedimenti della Pubblica Autorità.

L’orientamento suesposto è stato peraltro fatto proprio anche dalla recente giurisprudenza di legittimità, la quale, pronunciandosi su un caso analogo, ha sancito che “in tema di risoluzione del contratto, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, […] dovendosi in tal caso prendere atto che non può essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione della prestazione”, pacificamente riconoscendo altresì che tali principi debbano essere estesi anche nell’ambito del contratto di locazione, qualora la prestazione del locatore, seppur di per sé non divenuta impossibile, sia di fatto divenuta inutilizzabile da parte del conduttore (Cass. n. 8766/2019).

In ogni caso, sarà sempre bene per l’imprenditore o il professionista/conduttore concordare la sospensione del canone – o la sua eventuale rideterminazione – con il locatore, al fine di evitare un contenzioso dall’esito incerto.

 

avv. Nicolò Tognon